La fattoria degli animali

George Orwell

 

Capitolo I 

 

Il signor Jones, della Fattoria Padronale, serrò a chiave il pollaio per la notte, ma, ubriaco com'era, scordò di chiudere le finestrelle. Nel cerchio di luce della sua lanterna che danzava da una parte all'altra attraversò barcollando il cortile, diede un calcio alla porta retrostante la casa, da un bariletto nel retrocucina spillò un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò su, verso il letto, dove la signora Jones già stava russando. 

Non appena la luce nella stanza da letto si spense, tutta la fattoria fu un brusio, un'agitazione, uno sbatter d'ali. Durante il giorno era corsa voce che il Vecchio Maggiore, il verro Biancocostato premiato a tutte le esposizioni, aveva fatto la notte precedente un sogno strano che desiderava riferire agli altri animali. Era stato convenuto che si sarebbero tutti riuniti nel grande granaio, non appena il signor Jones se ne fosse andato sicuramente a dormire. Il Vecchio Maggiore (così era chiamato, benché fosse stato esposto con il nome di Orgoglio di Willingdon) godeva di così alta considerazione nella fattoria che ognuno era pronto a perdere un'ora di sonno per sentire quello che egli aveva da dire.

Ad un'estremità dell'ampio granaio, su una specie di piattaforma rialzata, il Vecchio Maggiore già stava affondando sul suo letto di paglia, sotto una lanterna appesa a una trave. Aveva dodici anni e cominciava a divenire corpulento, ma era pur sempre un maiale dall'aspetto maestoso, spirante saggezza e benevolenza, benché mai fosse stato castrato. In breve cominciarono a giungere gli altri animali e ognuno si accomodava a seconda della propria natura. Vennero primi i tre cani, Lilla, Jessie e Morsetto, poi i porci che si adagiarono sulla paglia immediatamente davanti alla piattaforma, le galline si appollaiarono sul davanzale delle finestre, i piccioni svolazzarono sulle travi, le pecore e le mucche si accovacciarono dietro ai maiali e cominciarono a ruminare. I due cavalli da tiro, Gondrano e Berta, arrivarono assieme, camminando lenti e appoggiando cauti i loro ampi zoccoli pelosi per timore che qualche piccolo animale potesse trovarsi nascosto nella paglia. Berta era una grossa, materna cavalla di mezza età che, dopo il quarto parto, non aveva più riacquistato la sua linea. Gondrano era una bestia enorme, alta quasi diciotto palmi e forte come due cavalli comuni messi assieme. Una striscia bianca lungo il naso gli dava un'espressione alquanto stupida, e, in realtà, non aveva una grande intelligenza, ma era universalmente rispettato per la sua fermezza di carattere e per la sua enorme potenza di lavoro. Dopo i cavalli, vennero Muriel, la capra bianca, e Benjamin, l'asino. Benjamin era la bestia più vecchia della fattoria e la più bisbetica. Parlava raramente e quando apriva bocca era per fare ciniche osservazioni; per esempio, diceva che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche, ma che sarebbe stato meglio non ci fossero state né coda né mosche. Solo fra tutti gli animali della fattoria non rideva mai. Se gli si domandava il perché, rispondeva che non vedeva nulla di cui si potesse ridere. Ma senza dimostrarlo apertamente era devoto a Gondrano: i due usavano passare assieme la domenica nel piccolo recinto dietro all'orto, brucando erba a fianco a fianco senza mai aprir bocca. 

I due cavalli si erano appena sdraiati quando una covata di anatroccoli che aveva perduto la madre entrò in fila nel granaio, pigolando debolmente e andando qua e là in cerca di un luogo ove non si corresse il rischio di venir calpestati. Berta, con le sue grosse zampe anteriori, fece una specie di muro attorno ad essi, e gli anatroccoli corsero a quel rifugio e subito si addormentarono. All'ultimo momento Mollie, la graziosa e vispa cavallina bianca che tirava il calesse del signor Jones, entrò, camminando con grazia affettata e succhiando una zolletta di zucchero. Prese posto presso la piattaforma, scuotendo la bianca criniera, nella speranza di attirar l'attenzione sui nastri rossi che vi erano intrecciati. Ultimo di tutti giunse il gatto che, come al solito, si guardò attorno in cerca del posto più caldo e si cacciò infine tra Gondrano e Berta; là si distese beatamente a far le fusa per tutta la durata del discorso del Vecchio Maggiore senza ascoltare una parola di ciò che questi diceva. 

Tutti gli animali erano ora presenti, eccetto Mosè, il corvo domestico, che dormiva su un trespolo dietro la porta d'entrata. Quando vide che tutti si erano bene accomodati e aspettavano attenti, il Vecchio Maggiore si rischiarò la gola e cominciò: 

«Compagni, già sapete dello strano sogno che ho fatto la notte scorsa, ma di ciò parlerò più tardi. Ho avuto una vita lunga, ho avuto molto tempo per pensare mentre me ne stavo solo, sdraiato nel mio stallo, e credo di poter dire d'aver compreso, meglio di ogni animale vivente, la natura della vita su questa terra. Di ciò desidero parlarvi. 

«Ora, compagni, di qual natura è la nostra vita? Guardiamola: la nostra vita è misera, faticosa e breve. Si nasce e ci vien dato quel cibo appena sufficiente per tenerci in piedi, e quelli di noi che ne sono capaci sono forzati a lavorare fino all'estremo delle loro forze; e, nello stesso istante in cui ciò che si può trarre da noi ha un termine, siamo scannati con orrenda crudeltà. Non vi è animale in Inghilterra che, dopo il primo anno di vita, sappia che cosa siano la felicità e il riposo. Non vi è animale in Inghilterra che sia libero. La vita di un animale è miseria e schiavitù: questa è la cruda verità. 

«Fa forse ciò parte dell'ordine della natura? Forse questa nostra terra è tanto povera da non poter dare una vita passabile a chi l'abita? No, compagni, mille volte no! Il suolo dell'Inghilterra è fertile, il suo clima è buono, e può dar cibo in abbondanza a un numero d'animali enormemente superiore a quello che ora l'abita. Solo questa nostra fattoria potrebbe sostentare una dozzina di cavalli, venti mucche, centinaia di pecore, e a tutti potrebbe assicurare un agio e una dignità di vita che vanno oltre ogni immaginazione. Perché allora dobbiamo continuare in questa misera condizione? Perché quasi tutto il prodotto del nostro lavoro ci viene rubato dall'uomo. Questa, compagni, è la risposta a tutti i nostri problemi. Essa si assomma in una sola parola: uomo. L'uomo è il solo, vero nemico che abbiamo. Si tolga l'uomo dalla scena e sarà tolta per sempre la causa della fame e della fatica. 

«L'uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l'aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il signore di tutti gli animali. Li fa lavorare e in cambio dà ad essi quel minimo che impedisca loro di morir di fame e tiene il resto per é. Il nostro lavoro coltiva la terra, i nostri escrementi la rendono fertile, eppure non uno di noi possiede più che la sua nuda pelle. Voi, mucche che vedo davanti a me, quante migliaia di galloni di latte avete dato durante lo scorso anno? E che ne è stato di quel latte che avrebbe dovuto nutrire vigorosi vitelli? Ogni sua goccia è andata giù per la gola del nostro nemico. E voi, galline, quante uova avete deposto in un anno e quante di queste uova si sono dischiuse al pulcino? Le restanti si sono tutte mutate in danaro per Jones e i suoi uomini. E tu, Berta, dove sono i quattro puledri che hai portato in grembo e che avrebbero dovuto essere il sostegno e il conforto della tua vecchiaia? Ognuno di essi fu venduto al compiere di un anno e tu non li rivedrai mai più. In cambio dei tuoi quattro puledri e di tutto il lavoro dei campi, che cosa hai avuto se non una scarsa razione e una stalla? 

«E neppure avviene che la misera vita che conduciamo abbia il suo corso naturale. Non mi lamento per me, perché io sono tra i fortunati. Ho dodici anni e ho avuto più di quattrocento figli. Questa è la naturale vita di un maiale. Ma nessun animale sfugge infine al coltello crudele. Voi, giovani lattonzoli che mi sedete dinanzi, voi tutti entro un anno griderete per il fuggir della vita. A questo orrore ciascuno di noi deve giungere: mucche, porci, galline, pecore; tutti. Persino i cavalli e i cani non hanno miglior destino. Tu, Gondrano, il giorno stesso in cui i tuoi possenti muscoli avranno perduto la loro forza, sarai venduto da Jones all'uomo che ti taglierà la gola e farà bollire la tua carne per darla in pasto ai cani da caccia. Quanto ai cani, allorché diventano vecchi e senza denti, Jones lega loro una pietra al collo e li annega nel più vicino stagno. 

«Dunque, compagni, non è chiaro come il cristallo che tutti i mali della nostra vita nascono dalla tirannia dell'uomo? Eliminiamo l'uomo e il prodotto del nostro lavoro sarà nostro. Prima di sera potremmo divenire ricchi e liberi. Che fare dunque? Lavorare notte e giorno, corpo e anima per la distruzione della razza umana! Questo è il mio messaggio a voi, compagni: Rivoluzione! Non posso dire quando questa Rivoluzione verrà: potrebbe essere fra una settimana o fra cent'anni; ma so, con la stessa certezza con cui vedo questa paglia sotto i miei piedi, che presto o tardi giustizia sarà fatta. Compagni, in questo evento fissate il vostro sguardo per quel resto di vita che vi rimane. E soprattutto tramandate questo mio messaggio a quelli che verranno dopo di voi, in modo che le future generazioni proseguano la lotta fino alla vittoria. 

«E ricordate, compagni, che la vostra risoluzione mai deve vacillare. Nessun argomento vi faccia deviare. Non date ascolto quando vi si dice che l'uomo e gli animali hanno un comune interesse, che la prosperità dell'uno è la prosperità degli altri. E' tutta menzogna. L'uomo non serve gli interessi di nessuna creatura all'infuori dei suoi. E fra noi animali ci sia perfetta unità di vedute, solidarietà perfetta in questa lotta. Tutti gli uomini sono nemici. Tutti gli animali sono compagni.» 

Avvenne qui un tremendo scompiglio. Mentre il Vecchio Maggiore stava parlando, quattro grossi topi erano usciti dal loro buco e, appoggiati ai quarti posteriori, si erano messi ad ascoltare. I cani li avevano subito notati, e solo con un rapido ritorno alle loro tane i topi ebbero salva la vita. Il Vecchio Maggiore alzò la zampa per imporre il silenzio. 

«Compagni» disse «ecco un punto che deve essere chiarito. Le creature selvatiche come i topi e i conigli sono nostri amici o nostri nemici? Mettiamo la questione ai voti. Propongo all'assemblea il seguente quesito: i topi sono compagni?» 

La votazione fu rapida e con stragrande maggioranza si stabilì che i topi erano compagni. Vi furono solo quattro dissenzienti: i tre cani e il gatto, il quale, come si scoprì poi, aveva però votato per ambo le parti. Il Vecchio Maggiore proseguì: 

«Poco mi rimane ancora da dire. Solo ripeto di ricordar sempre il vostro dovere di inimicizia verso l'uomo e tutte le sue arti. Tutto ciò che cammina su due gambe è nemico. Tutto ciò che cammina su quattro gambe o ha ali è amico. E ricordate pure che nel combattere l'uomo non dobbiamo venirgli ad assomigliare. Anche quando l'avrete distrutto, non adottate i suoi vizi. Nessun animale vada mai a vivere in una casa, o dorma in un letto, o vesta panni, o beva alcolici, o fumi tabacco, o maneggi danaro, o faccia commercio. Tutte le abitudini dell'uomo sono malvagie. E, soprattutto, nessun animale divenga tiranno ai suoi simili. Deboli o forti, intelligenti o sciocchi, siamo tutti fratelli. Mai un animale uccida un altro animale. Tutti gli animali sono uguali.

«E ora, compagni, vi dirò del mio sogno dell'altra notte. Non vi posso descrivere quel sogno. Era il sogno della Terra come sarà quando l'uomo sarà scomparso. Ma mi ha rammemorato di una cosa che da lungo tempo avevo dimenticato. Molti anni fa, quando non ero che un lattonzolo, mia madre e altre scrofe usavano cantare una vecchia canzone di cui esse non conoscevano che l'aria e le prime tre parole. Conoscevo quell'aria fin dall'infanzia, ma da molto tempo mi era uscita di mente. L'altra notte, però, essa mi ritornò in sogno. E ciò che più conta, anche le parole della canzone mi ritornarono, parole, sono sicuro, che erano cantate dagli animali di molto, molto tempo fa e di cui da generazioni si era perduta la memoria. Vi canterò ora questa canzone, compagni. Sono vecchio e la mia voce è rauca, ma quando vi avrò insegnato l'aria la potrete cantare meglio da voi. E' intitolata Animali d'Inghilterra.» 

Il Vecchio Maggiore si rischiarò la gola e cominciò a cantare, e cantò abbastanza bene, e l'aria era eccitante, qualcosa fra Clementine e La Cucaracha. Le parole dicevano: 

Animali d'Inghilterra, d'ogni clima e d'ogni terra, ascoltate il lieto coro: tornerà l'età dell'oro! 

Tosto o tardi tornerà: l'uom tiranno a terra andrà; per le bestie sol cortese sarà l'alma terra inglese. 

Non più anelli alle narici, non più gioghi alle cervici, e per sempre in perdizione andran frusta, morso e sprone. 

Sarem ricchi, sazi appieno: orzo, grano, avena, fieno, barbabietole e foraggio saran sol nostro retaggio. 

Più splendenti i campi e i clivi, e più puri i fonti e i rivi e più dolce l'aer sarà Quando avrem la libertà. 

Per quel dì noi lotteremo, per quel dì lieti morremo, vacche, paperi, galline, mille bestie, un solo fine. 

Animali d'Inghilterra, d'ogni clima e d'ogni terra, ascoltate il lieto coro: tornerà l'età dell'oro! 

Il canto di quest'inno portò gli animali al colmo dell'entusiasmo. Prima ancora che il Vecchio Maggiore fosse giunto alla fine, tutti avevano cominciato a cantarlo per proprio conto. Anche i più stupidi ne avevano già afferrata l'aria e alcune parole, e quanto ai più intelligenti, come i maiali e i cani, già in pochi minuti avevano imparato a memoria tutta quanta la canzone. Allora, dopo alcune prove preliminari, l'intera fattoria intonò Animati d'Inghilterra in un tremendo unisono. Le mucche lo muggivano, i cani lo abbaiavano, le pecore lo belavano, i cavalli lo nitrivano, le anitre lo quacqueravano. Erano così entusiasti dell'inno che lo cantarono cinque volte di seguito, e avrebbero continuato per tutta la notte se non fossero stati interrotti. 

Disgraziatamente, infatti, il frastuono svegliò il signor Jones, che saltò giù dal letto, sicuro che nell'aia vi fosse una volpe. Afferrò il fucile che stava sempre in un angolo della sua stanza e sparò nelle tenebre una scarica del numero 6. I pallini si conficcarono nel muro del granaio e la riunione si sciolse in tutta fretta. Ognuno corse al luogo dove era solito passare la notte. Gli uccelli volarono sui loro trespoli, gli animali si coricarono sulla paglia, e in pochi istanti tutta la fattoria fu immersa in un profondo sonno. 

 

Capitolo II 

 

Tre notti più tardi il Vecchio Maggiore moriva pacificamente nel sonno. Il suo corpo fu seppellito al margine del frutteto. 

Ciò avveniva nei primi giorni di marzo. Nei tre mesi che seguirono vi fu grande attività segreta. Il discorso del Vecchio Maggiore aveva dato agli animali più intelligenti una visione affatto nuova della vita. Non sapevano quando sarebbe avvenuta la Rivoluzione preconizzata dal Vecchio Maggiore, non avevano ragione di credere che essa sarebbe avvenuta durante il loro periodo di vita, ma vedevano chiaramente che era loro dovere prepararla. L'opera di propaganda e di organizzazione cadde naturalmente sui maiali, la cui intelligenza superiore era generalmente riconosciuta da tutti gli animali. Preminenti fra i porci erano due giovani verri, chiamati Palla di Neve e Napoleon, che il signor Jones stava allevando per la vendita. Napoleon era un grosso verro del Berkshire dall'aspetto piuttosto feroce, l'unico Berkshire della fattoria, non molto comunicativo, ma in fama di voler sempre fare a modo suo. Palla di Neve era un maiale più vivace di Napoleon, più svelto nel parlare e di maggiore inventiva, ma stimato di una minor profondità di carattere. Tutti gli altri maiali maschi della fattoria erano destinati al macello. Il più noto fra essi era un porchetto grasso chiamato Clarinetto, con guance assai rotonde, occhi vivi, mosse agili e voce acuta. Era un parlatore brillante e quando stava svolgendo qualche punto difficile aveva un modo tutto suo di saltellare da un lato all'altro e di menare la coda in gesto molto persuasivo. Gli altri dicevano di Clarinetto che avrebbe saputo far vedere bianco per nero. 

Questi tre avevano elaborato gli insegnamenti del Vecchio Maggiore in un completo sistema di massime a cui avevano dato il nome di Animalismo. Diverse notti la settimana, dopo che il signor Jones era andato a dormire, essi tenevano riunioni segrete nel granaio ed esponevano agli altri i principi dell'Animalismo. Dapprima le bestie si riunirono stupidamente e senza entusiasmo. Alcuni animali parlavano del dovere di lealtà verso il signor Jones, che essi chiamavano "Padrone", e facevano osservazioni elementari, come: «Il signor Jones ci dà da mangiare. Se se ne andasse, noi moriremmo di fame». Altri facevano domande assurde come: «perché dovremmo preoccuparci di quello che avverrà dopo la nostra morte?» oppure: «Se questa Rivoluzione deve in ogni caso avvenire, che importa se noi lavoriamo o no per essa?». E i maiali avevano gran difficoltà a far loro intendere che ciò era contrario allo spirito dell'Animalismo. Le domande più sciocche erano poste da Mollie, la cavallina bianca. La prima domanda che essa fece a Palla di Neve fu: «Ci sarà ancora zucchero dopo la Rivoluzione?». «No» rispose Palla di Neve decisamente; «non abbiamo mezzi per fare lo zucchero in questa fattoria. Poi, non avrai bisogno di zucchero. Avrai tutta l'avena e il fieno che vorrai.» 

«E potrò ancora mettermi nastri nella criniera?» domandò Mollie. 

«Compagna» ribatté Palla di Neve «quei nastri che ti piacciono tanto sono il segno della schiavitù. Non capisci che la libertà vale assai più di un nastro?» Mollie consentì, pur non mostrandosi troppo convinta. Una più dura lotta dovettero sostenere i maiali per smentire le menzogne messe in giro da Mosè, il corvo domestico. Mosè, il favorito del signor Jones, era una spia e un delatore, ma era anche un parlatore intelligente. Egli pretendeva di sapere dell'esistenza di un misterioso paese chiamato Monte Zuccherocandito dove tutti gli animali andavano quando morivano. 

Era situato in qualche luogo, su, nel cielo, oltre le nuvole, diceva Mosè. Sul Monte Zuccherocandito era domenica sette giorni la settimana, il trifoglio era tutto l'anno di stagione, e sulle siepi crescevano zollette di zucchero e semi di lino. Gli animali odiavano Mosè perché raccontava storie e non lavorava, ma qualcuno di essi credeva nel Monte Zuccherocandito, e i maiali avevano un bel daffare a persuaderli che un tal sito non esisteva. 

I loro più fedeli discepoli erano i due cavalli da tiro, Gondrano e Berta. Questi due avevano grande difficoltà a pensare qualsiasi cosa che fosse fuori di loro stessi, ma, una volta accettati i maiali quali loro maestri, assorbivano tutto quanto veniva loro detto e con semplice argomentazione lo passavano agli altri. Non mancavano mai alle riunioni segrete nel granaio e dirigevano il canto di Animali d'Inghilterra con il quale sempre si chiudevano tali adunate. Ora avvenne che la

Rivoluzione si verificò assai prima di quanto nessuno si aspettasse. Negli anni precedenti il signor Jones, pur essendo un duro padrone, era stato un abile agricoltore; ma, negli ultimi tempi, tristi giorni si erano abbattuti su lui. La perdita di danaro in una causa legale lo aveva accorato al punto che aveva cominciato a bere assai più di quanto non fosse per lui ragionevole. Gli accadeva talvolta di restare intere giornate in cucina sdraiato nella sua poltrona Windsor a leggere giornali, a bere e, incidentalmente, a dare a Mosè croste di pane inzuppato nella birra. I suoi uomini erano pigri e disonesti, i campi pieni di gramigne; i fabbricati richiedevano riparazioni ai tetti, gli steccati venivano trascurati, gli animali mal nutriti. Venne giugno e il fieno era quasi pronto per il taglio. Alla vigilia della festa di S. Giovanni, che era un sabato, il signor Jones andò a Willingdon e prese una tale sbornia al Leone Rosso che non poté rincasare prima del mezzogiorno della domenica. Gli uomini avevano munto le mucche il mattino presto, poi se n'erano andati senza preoccuparsi di dar da mangiare agli animali. Il signor Jones, come rientrò in casa, andò subito a dormire sul divano del salotto, coprendosi il viso con un giornale, così che quando venne la sera gli animali erano sempre digiuni. Alla fine essi non ne poterono più. Una mucca con una cornata sfondò la porta del magazzino e tutti gli animali cominciarono a servirsi di quanto era là ammucchiato. Proprio allora il signor Jones si svegliò. Un momento dopo, assieme ai suoi quattro uomini, era nel magazzino e con la frusta menava terribili sferzate a dritta e a manca. Era più di quanto quelle bestie affamate potessero sopportare. Di comune accordo, benché nulla del genere fosse stato prima progettato, si lanciarono sui loro aguzzini. Jones e i suoi uomini si trovarono a un tratto sospinti, battuti, presi a calci da ogni parte. Impossibile far fronte alla situazione. Mai prima avevano visto animali comportarsi in tal modo, e questa improvvisa sollevazione di creature che essi erano abituati a frustare e maltrattare come volevano li sbigottì tanto da far quasi perder loro la testa. Dopo qualche istante rinunciarono a difendersi e se la diedero a gambe. Tutti e cinque fuggirono giù per la via carraia che conduceva alla strada maestra, e gli animali li inseguirono, trionfanti. 

La signora Jones si affacciò alla finestra della stanza da letto, vide quel che stava accadendo, ficcò in tutta fretta in una valigia quel poco che poté raccogliere e, per altra uscita, sgattaiolò fuori dalla fattoria. Mosè lasciò il suo trespolo e si mise a svolazzare dietro di lei, gracchiando forte. Frattanto gli animali avevano scacciato Jones e i suoi uomini giù fino alla strada e violentemente chiuso il pesante cancello alle loro spalle. E così, prima ancora di rendersi conto di quello che stava accadendo, la Rivoluzione era stata posta in atto con pieno successo: Jones era stato espulso e la fattoria era caduta nelle loro mani. 

Per i primi istanti, gli animali quasi non credevano a tanta fortuna. Il loro primo atto fu di galoppare in massa tutto attorno ai confini della fattoria, come per assicurarsi che nessun essere umano vi fosse in qualche modo nascosto; di corsa tornarono poi ai fabbricati per cancellare le ultime tracce dell'odiato regno di Jones. La selleria situata oltre le stalle fu sfondata: i freni, gli anelli per il naso, le catene dei cani, i coltelli crudeli con cui il signor Jones usava castrare i maiali e gli agnelli, tutto fu buttato nel pozzo. Le redini, le cavezze, i paraocchi, le avvilenti tasche mangiatoie furono gettati sul fuoco che ardeva in mezzo al cortile, alimentato da tutti i rifiuti. La stessa fine fecero le fruste. Tutti gli animali non stavano più in sé per la gioia di veder le fruste andare in fiamme. Palla di Neve gettò pure sul fuoco i nastri con cui la signora Jones usava ornare le criniere e le code dei cavalli nei giorni di mercato. 

«I nastri» disse «vanno considerati come i vestiti che sono il segno dell'essere umano. Tutti gli animali devono andare nudi.» 

Quando udì questo, Gondrano andò a prendere il piccolo cappello di paglia che portava d'estate per difendere le orecchie dalle mosche e lo gettò sul fuoco con tutto il resto. 

In brevissimo tempo gli animali avevano distrutto ogni cosa che ricordasse loro il signor Jones. Napoleon li condusse poi al magazzino delle provviste e servì ad ognuno una doppia razione di grano, mentre ai cani diede due biscotti per ciascuno. Poi cantarono Animali d'Inghilterra dal principio alla fine per sette volte di seguito, dopo di che si sistemarono per la notte e dormirono come mai avevano dormito prima. Ma si svegliarono all'alba, come al solito e, ricordando a un tratto i gloriosi avvenimenti del giorno precedente, tutti assieme corsero al pascolo. Da una collinetta poco oltre il pascolo stesso si godeva la vista di quasi tutta la fattoria. Gli animali vi montarono in cima e si guardarono attorno nella chiara luce del mattino. Sì, quello era loro, tutto ciò che vedevano era loro! Nell'esaltazione di quel pensiero andavano qua e là e si lanciavano in aria con salti prodigiosi. Si rotolavano nella rugiada, si riempivano la bocca della dolce erba estiva, con le zampe sollevavano zolle di terra e ne aspiravano il greve sentore. Fecero poi un giro d'ispezione per tutta la fattoria e, con muta ammirazione, osservarono le terre arate, i campi di fieno, il frutteto, lo stagno, il boschetto. Era come se mai avessero visto prima quelle cose, e ancora stentavano a credere che tutto fosse loro. In fila fecero poi ritorno ai fabbricati e in silenzio si fermarono davanti alla porta della casa colonica. Anche quella era loro, ma avevano paura a entrarvi. Dopo alcuni istanti, tuttavia, Palla di Neve e Napoleon con una spallata aprirono la porta e gli animali entrarono l'uno dopo l'altro, camminando con la massima cautela per non urtare qualcosa. In punta di piedi andarono di stanza in stanza, timorosi di parlare se non in bisbiglio, guardando con una specie di terrore l'incredibile lusso, i letti coi loro materassi di piuma, gli specchi, il divano di crine, il tappeto di Bruxelles, la litografia della regina Vittoria sopra la caminiera del salotto. Stavano scendendo le scale quando si accorsero dell'assenza di Mollie. Tornando indietro, trovarono che essa si era fermata nella più bella stanza da letto. Dalla tavola di toeletta della signora Jones aveva preso un nastro azzurro e se l'era posto sulla spalla, ammirandosi nello specchio, da vera scioccherella. La rimproverarono aspramente e uscirono. Alcuni prosciutti appesi nella cucina furono presi per dar loro sepoltura e un barile di birra nella dispensa fu sfondato da un calcio di Gondrano. Null'altro fu toccato nella casa. Fu presa sul luogo la unanime decisione che la casa colonica sarebbe stata conservata come museo. Tutti convennero che nessun animale vi sarebbe mai andato a vivere. 

Gli animali ebbero la loro prima colazione, poi Palla di Neve e Napoleon li chiamarono ancora a raduno. 

«Compagni» disse Palla di Neve «sono le sei e mezzo e abbiamo davanti a noi una lunga giornata. Oggi cominceremo la raccolta del fieno. Ma vi è un'altra cosa che dobbiamo subito fare.» 

I maiali rivelarono allora che durante gli ultimi tre mesi essi avevano imparato a leggere e a scrivere da un vecchio sillabario che era appartenuto ai figli del signor Jones e che era stato gettato nelle immondizie. Napoleon si fece portare un barattolo di vernice bianca e uno di vernice nera e si avviò verso il grande cancello che si apriva sulla strada maestra. Poi Palla di Neve (perché Palla di Neve aveva la miglior calligrafia), preso un pennello tra le zampe, cancellò FATTORIA PADRONALE sull'alto del cancello e, in sua vece, vi dipinse: FATTORIA DEGLI ANIMALI. Era questo il nome che la fattoria doveva da quel momento portare. Fatto ciò, tornarono ai fabbricati della fattoria, ove Palla di Neve e Napoleon fecero portare una scala a pioli che venne appoggiata contro il muro di fondo del grande granaio. Essi spiegarono che, con lo studio dei tre ultimi mesi, i maiali erano riusciti a concretare i principi dell'Animalismo in Sette Comandamenti. Questi Sette Comandamenti sarebbero stati scritti sul muro; avrebbero così formato una legge inalterabile secondo la quale tutte le bestie della Fattoria degli Animali avrebbero dovuto vivere da quel momento per sempre. Con qualche difficoltà (perché non è facile per un maiale tenersi in equilibrio su una scala a pioli) Palla di Neve si arrampicò e si pose al lavoro, con Clarinetto qualche gradino più in basso che gli reggeva il barattolo della vernice. I Comandamenti furono scritti su un muro in catramato, a grandi lettere bianche che si potevano leggere alla distanza di trenta metri. Eccone il testo: 

I SETTE COMANDAMENTI 

1) Tutto ciò che va su due gambe è nemico. 

2) Tutto ciò che va su quattro gambe o ha ali è amico.

3) Nessun animale vestirà abiti. 

4) Nessun animale dormirà in un letto. 

5) Nessun animale berrà alcolici.

6) Nessun animale ucciderà un altro animale.7) Tutti gli animali sono uguali. 

Tutto ciò era scritto molto accuratamente e, salvo qualche accento e un "tutto" con una t sola, anche l'ortografia era corretta. Palla di Neve li lesse ad alta voce a beneficio degli altri. Tutti gli animali annuirono in segno di assenso e i più intelligenti cominciarono subito a imparare i Sette Comandamenti a memoria. 

«Ora, compagni» gridò Palla di Neve, gettando a terra il pennello «al prato! Facciamoci un punto d'onore di falciarlo più presto di quanto non saprebbero farlo Jones e i suoi uomini.» 

Ma allora le tre mucche, che da qualche tempo mostravano segni di inquietudine, emisero un lungo muggito. 

Da ventiquattr'ore non erano state munte e le loro mammelle erano piene da scoppiare. Dopo breve riflessione, i maiali mandarono a prendere un secchio e riuscirono felicemente a mungere le mucche, dato che i loro piedi erano abbastanza adatti a tale bisogna. Presto vi furono cinque secchi colmi di latte cremoso e denso a cui molti animali guardavano con profondo interesse. 

«Che se ne fa di tutto questo latte?» chiese qualcuno. 

«Jones usava talvolta mischiarne un po' al nostro pastone» disse una gallina. «Lasciate stare il latte, compagni!» gridò Napoleon, ponendosi davanti ai secchi. «Penseremo anche a questo. Il taglio del fieno è più importante. Il compagno Palla di Neve vi condurrà; io vi seguirò fra poco. Avanti, compagni, il fieno vi attende!» 

Così gli animali, in truppa, si avviarono al prato per iniziare la falciatura, e quando furono di ritorno la sera notarono che del latte non restava più traccia alcuna. 

 

Capitolo III 

 

Quanta fatica e sudore per ritirare il fieno! Ma i loro sforzi furono infine compensati perché il raccolto fu assai migliore di quanto avessero potuto sperare. Talvolta il lavoro era duro; gli strumenti erano stati fatti per l'uomo e non per animali, ed era un grande svantaggio che nessun animale potesse usare utensili per i quali sarebbe stato necessario reggersi sulle gambe posteriori. Ma i maiali erano tanto intelligenti che sapevano superare ogni difficoltà. Quanto ai cavalli, essi conoscevano il campo a palmo a palmo e in realtà si intendevano e sapevano di mietitura e di rastrellatura assai più e meglio di Jones e dei suoi uomini. I maiali non lavoravano, ma dirigevano e sorvegliavano gli altri. Con la loro cultura superiore era naturale che assumessero la direzione della comunità. Gondrano e Berta si attaccavano al falciatoio o al grande rastrello (non vi era più bisogno né di morso né di redini, naturalmente) e andavano senza sosta su e giù per il campo con un maiale che camminava al loro fianco gridando: «Avanti, compagni!» o «Indietro, compagni!» a seconda del caso. E ogni animale, fino al più umile, lavorava a voltare il fieno e a raccoglierlo. Persino le anatre e le galline si affannavano qua e là tutto il giorno sotto il sole, portando fili di fieno nel becco. Il raccolto fu condotto a termine in due giornate meno di quanto di solito impiegavano Jones e i suoi uomini. Inoltre era il più abbondante raccolto che la fattoria avesse mai visto. Né vi fu sperpero alcuno; le galline e le anatre con la loro vista acuta avevano raccattato fino all'ultimo filo d'erba. E nessun animale della fattoria ne aveva rubato neppure una boccata. 

Durante tutta l'estate il lavoro si svolse con la precisione di un movimento d'orologeria. Gli animali erano felici come mai avrebbero potuto immaginare. Ogni boccata di cibo era un vero e acuto piacere, ora che era veramente il loro cibo, prodotto da loro per loro, non avaramente somministrato da un burbero padrone. Senza l'uomo parassita e buono a nulla, vi era abbondanza di cibo per tutti. Vi era anche maggior riposo, nonostante l'inesperienza degli animali. Naturalmente, incontrarono molte difficoltà; per esempio, più avanti con la stagione, quando ebbero mietuto il grano, dovettero calpestarlo al modo antico e col loro fiato soffiar via le scorie e la paglia, dato che la fattoria non possedeva una trebbiatrice; ma i maiali con il loro ingegno e Gondrano con i suoi possenti muscoli venivano a capo di tutto. Gondrano destava l'ammirazione generale. Era stato un forte lavoratore anche ai tempi di Jones, ma ora sembrava che in lui vi fossero non uno ma tre cavalli: vi erano giorni in cui tutto il lavoro della fattoria sembrava pesare sulle sue possenti spalle. Da mattina a sera spingeva e tirava, sempre presente ove la fatica era maggiore. Aveva convenuto con un galletto di farsi svegliare ogni mattina mezz'ora prima di tutti gli altri per prestarsi volontariamente al lavoro dove più era necessario, prima che cominciasse la quotidiana fatica. La sua risposta a ogni problema, a ogni difficoltà era: «Lavorerò di più!» frase che aveva adottato quale suo motto personale. 

Ma tutti lavoravano secondo la propria capacità. Le galline e le anatre, per esempio, avevano salvato cinque covoni di grano durante la mietitura andando a spigolare i chicchi caduti. Nessuno rubava, nessuno mormorava sulla propria razione: i litigi, i morsi, le gelosie, che erano cose normali negli antichi giorni, erano quasi spariti. Nessuno si schivava, o quasi nessuno. Mollie, è vero, stentava ad alzarsi il mattino e aveva un modo tutto suo di lasciar presto il lavoro con la scusa che una pietra le era entrata nello zoccolo. E il comportamento del gatto aveva pure qualcosa di strano. Fu presto notato che quando c'era lavoro da fare il gatto era introvabile. Spariva per ore intere per riapparire al momento dei pasti e la sera a lavoro terminato, come se niente fosse stato. Ma portava sì eccellenti scuse e faceva le fusa tanto gentilmente che era impossibile non credere alle sue buone intenzioni. Il vecchio Benjamin, l'asino, non sembrava mutato dalla Rivoluzione. Faceva il suo lavoro nello stesso modo lento e ostinato con cui lo aveva compiuto ai tempi di Jones, mai ritraendosi, né mai offrendosi volontariamente per un lavoro straordinario. Sulla Rivoluzione e i suoi risultati mai

aveva voluto esprimere la propria opinione. Quando gli chiedevano se non fosse più felice ora che Jones se n'era andato, si limitava a rispondere: «Gli asini hanno vita lunga. Nessuno di voi ha visto mai un asino morto». E gli altri dovevano accontentarsi di questa risposta sibillina. 

Alla domenica non si lavorava. La prima colazione veniva fatta un'ora più tardi del solito e, dopo la colazione, aveva luogo una cerimonia che si teneva infallibilmente ogni settimana. V'era prima l'alzabandiera. Palla di Neve aveva trovato nella selleria una vecchia tovaglia verde del signor Jones, e vi aveva dipinto sopra in bianco uno zoccolo di cavallo e un corno. Ogni domenica mattina la bandiera veniva innalzata sull'asta, nel giardino della casa colonica. La bandiera era verde, spiegava Palla di Neve, per rappresentare i verdi campi d'Inghilterra, mentre lo zoccolo e il corno simboleggiavano la futura Repubblica degli Animali che sarebbe sorta quando la razza umana fosse stata finalmente distrutta. Dopo l'alzabandiera tutti gli animali si recavano in truppa nel grande granaio per un'assemblea generale che si chiamava Consiglio. Qui si tracciava il piano di lavoro della settimana entrante e i progetti venivano esposti e discussi. Erano sempre i maiali che esponevano i progetti. Gli altri animali capivano come dare il voto, ma non riuscivano a concepire in proprio alcun progetto. Palla di Neve e Napoleon erano di gran lunga i più attivi nelle discussioni. Ma i due non andavano mai d'accordo. Qualunque cosa proponesse l'uno, era certo di trovare l'opposizione dell'altro. Anche quando fu deciso cosa per se stessa al disopra di ogni critica - di destinare il piccolo campo oltre il frutteto quale luogo di riposo agli animali divenuti inabili al lavoro, una violenta discussione sorse circa i limiti di età per ogni classe di animali. Il Consiglio si chiudeva sempre al canto di Animali d'Inghilterra e il pomeriggio veniva dedicato agli svaghi. 

I maiali si erano riservati, quale quartier generale, la selleria. Qui, la sera, essi studiavano su libri portati fuori dalla casa colonica, l'arte del maniscalco, del falegname e tutte quelle arti necessarie al buon andamento di una fattoria. Palla di Neve si dava pure molto da fare per gli altri animali in ciò che egli chiamava i Comitati Animali. Formò il "Comitato di Produzione delle Uova" per le galline, la "Lega delle Code Nette" per le mucche, il "Comitato di Rieducazione dei Compagni Selvatici" (lo scopo di tale comitato era di addomesticare i topi e i conigli), il "Movimento della Lana Bianca" per le pecore, e vari altri, oltre l'istituzione di classi per l'insegnamento della lettura e della scrittura. Nel loro assieme questi comitati risultarono un fallimento. Il tentativo di addomesticare le bestie selvatiche, per esempio, venne quasi subito troncato. Esse continuavano a comportarsi come prima, e, se trattate con generosità, non facevano che approfittarsene. Il gatto si unì al "Comitato di Rieducazione" e per qualche giorno si mostrò molto attivo. Lo si vide una volta seduto sopra un tetto mentre arringava dei passeri che erano al di fuori della portata delle sue grinfie. Diceva loro che tutti gli animali erano ora compagni e che qualunque passero avrebbe potuto adesso venirsi a posare sulle sue zampe; ma i passeri si mantennero a rispettosa distanza. 

La scuola di lettura e scrittura ebbe invece un grande successo. In autunno quasi tutti gli animali della fattoria erano, chi più chi meno, letterati. Quanto ai maiali, essi sapevano già leggere e scrivere perfettamente. I cani impararono a leggere abbastanza bene, ma non si interessavano che alla lettura dei Sette Comandamenti. Muriel, la capra, sapeva leggere un po' meglio dei cani, e talvolta, la sera, usava far lettura agli altri di ritagli di giornale trovati nel mucchio della spazzatura. Benjamin sapeva leggere bene quanto i maiali ma non dava mai saggio di questa sua abilità. A parer suo, diceva, non c'era nulla che meritasse di essere letto. Berta aveva imparato tutto l'alfabeto, ma non era mai riuscita a metter assieme le parole. Gondrano non poté mai andare oltre la lettera d. Col suo grosso zoccolo tracciava sulla sabbia a, b, c, d, poi si fermava a fissare le lettere, con le orecchie abbassate, scuotendo talvolta il ciuffo sulla fronte, e cercando con tutte le sue forze di ricordarsi che cosa veniva dopo, ma mai vi riusciva. In molte lezioni aveva imparato invero e, t, g, h, ma quando sapeva queste si accorgeva di aver dimenticato a, b, c, d. Finalmente decise di accontentarsi delle prime quattro lettere e usava scriverle una o due volte al giorno per rinfrescarsi la memoria. Mollie rifiutò di imparare qualunque cosa che non fossero le sole lettere che componevano il suo nome. Essa lo formava assai graziosamente con ramoscelli, Poi lo ornava con alcuni fiori e vi passeggiava attorno, ammirando. 

Nessuno degli altri animali della fattoria poté andare oltre la lettera a. Si trovò pure che le bestie più stupide, come le pecore, le galline e le anatre, non riuscivano a imparare a memoria i Sette Comandamenti. Dopo molto pensare, Palla di Neve dichiarò che i Sette Comandamenti potevano effettivamente venir ridotti a un'unica massima, e cioè: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo». Ciò, disse, contiene il principio essenziale dell'Animalismo. Chi si fosse bene imbevuto di tale massima sarebbe stato al sicuro da ogni influenza umana. Dapprima gli uccelli protestarono, sembrando loro di aver anch'essi due gambe, ma Palla di Neve riuscì a dimostrare che le cose stavano diversamente. «Le ali degli uccelli, compagni» disse «sono un organo di propulsione e non di manipolazione. Devono quindi essere considerate come gambe. Il segno distintivo dell'uomo è la mano, lo strumento col quale egli fa tutto ciò che è male.» 

Gli uccelli non compresero le parole difficili di Palla di Neve, ma accettarono la sua spiegazione, e tutti i più umili animali si applicarono a imparare a memoria la nuova massima: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo» fu scritto sul muro di fondo del granaio a lettere cubitali, sopra i Sette Comandamenti. Imparata che l'ebbero a memoria, la massima piacque tanto alle pecore che spesso, sdraiate sul prato, esse cominciavano a belare: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo! Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» e continuavano per ore e ore, senza stancarsi mai di ripeterla. 

Napoleon non si interessava dei comitati di Palla di Neve. Egli diceva che l'educazione dei giovani era assai più importante di qualsiasi cosa si potesse fare per i già adulti. Avvenne che Jessie e Lilla avessero entrambe figliato quasi subito dopo la raccolta del fieno, dando alla luce, fra tutte e due, nove robusti cuccioli. Non appena svezzati, Napoleon li tolse alle loro madri dicendo di farsi egli stesso responsabile della loro educazione. Li mise in una soffitta alla quale non si poteva accedere che a mezzo di una scala a pioli dalla selleria, e là li tenne così separati da tutti gli altri che presto la fattoria dimenticò la loro esistenza. 

Il mistero di dove andava a finire il latte fu presto svelato. Esso veniva ogni giorno mescolato nel mangime dei porci. Le prime mele stavano maturando e l'erba del frutteto era coperta di frutti caduti. Gli animali ritenevano cosa naturale che questi frutti venissero equamente divisi; un giorno però venne l'ordine che tutti quei frutti dovevano essere raccolti e portati nella selleria per uso dei porci. Mormorii corsero fra gli animali, ma invano. Tutti i maiali erano d'accordo su questo punto, perfino Palla di Neve e Napoleon. Fu mandato Clarinetto per dare agli altri le dovute spiegazioni. 

«Compagni» gridò «voi non immaginerete, spero, che noi maiali facciamo questo per spirito d'egoismo o di privilegio. A molti di noi realmente ripugnano il latte e le mele. Anche a me non piacciono. Il solo scopo nel prendere queste cose è di conservare la nostra salute. Il latte e le mele (e ciò è provato dalla Scienza, compagni) contengono sostanze assolutamente necessarie al benessere del maiale. Noi maiali siamo lavoratori del pensiero. Tutto l'andamento e l'organizzazione di questa fattoria dipendono da noi. Giorno e notte noi vegliamo al vostro benessere. E' per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele. Sapete che accadrebbe se i maiali dovessero venir meno al loro dovere? Jones ritornerebbe! Sì, Jones ritornerebbe! Certo, compagni» gridò Clarinetto quasi supplichevole, saltellando da un lato all'altro e agitando la coda «certo non c'è nessuno fra voi che voglia il ritorno di Jones!» 

Ora, se vi era una cosa di cui gli animali fossero sicuri, questa era che essi non volevano il ritorno di Jones. Posta la questione in questa luce, più nulla restava loro da dire. L'importanza di mantenere i maiali in buona salute risultava evidente. Così fu convenuto senz'altra osservazione che il latte e le mele cadute (come tutta la produzione delle mele quando fossero giunte a maturazione) sarebbero stati riservati ai soli maiali.

 

Capitolo IV

 

Verso la fine dell'estate la notizia di quanto era avvenuto nella Fattoria degli Animali si era sparsa in mezza contea. Ogni giorno Palla di Neve e Napoleon spedivano stormi di piccioni che avevano istruzione di frequentare gli animali delle fattorie vicine, narrar loro la storia della Rivoluzione e insegnar loro l'aria di Animali d'Inghilterra. 

Quasi tutto questo tempo il signor Jones l'aveva passato seduto nella sala comune dell'osteria del Leone Rosso a Willingdon, lamentandosi con tutti quelli che lo volevano sentire della mostruosa ingiustizia che aveva sofferto nel vedersi scacciato dalla sua proprietà da una massa di animali infingardi. Per principio gli altri agricoltori simpatizzavano con lui, senza dargli però grande aiuto. In fondo ognuno di loro pensava se la disgrazia di Jones non potesse in qualche modo volgersi a proprio vantaggio. Era una fortuna che i proprietari delle due Fattorie contigue alla Fattoria degli Animali fossero sempre in cattivi rapporti fra loro. Una di queste tenute, chiamata Foxwood, era una grande fattoria trascurata e antiquata, coperta da troppi boschi, con i pascoli esauriti e le siepi in misere condizioni. Il suo proprietario, signor Pilkington, era un gentiluomo campagnolo, che prendeva le cose con comodo e passava la maggior parte del tempo alla caccia o alla pesca, secondo la stagione. 

L'altra fattoria, chiamata Pinchfield, era più piccola e meglio organizzata. Il suo proprietario era il signor Frederick, uomo forte e astuto, sempre implicato in cause e in fama di saper comperare quasi per nulla. Fra questi due vi era un'antipatia così forte che era loro difficile venire a qualsiasi accordo, sia pure in difesa dei propri interessi. Tuttavia, erano entrambi assai spaventati dalla rivoluzione della Fattoria degli Animali e preoccupatissimi d'impedire alle loro bestie di saperne troppo in proposito. Dapprima credettero di poter ridere e burlarsi dell'idea che animali potessero da soli condurre una fattoria. In un paio di settimane la cosa si sarebbe risolta, dicevano. Sparsero la voce che gli animali della Fattoria Padronale (persistevano a chiamarla la Fattoria Padronale, non potendo tollerare il nome di Fattoria degli Animali) erano sempre in lotta fra di loro e che stavano rapidamente morendo di fame. Ma il tempo passava ed evidentemente gli animali non morivano di fame; allora Frederick e Pilkington cambiarono tattica e cominciarono a parlare della terribile malvagità che ora regnava alla Fattoria degli Animali. Si diceva che quelle bestie praticavano il cannibalismo, che si torturavano a vicenda con ferri di cavallo roventi e che avevano le loro femmine in comune. Ecco quel che accadeva quando ci si ribellava alle leggi di natura, dicevano Frederick e Pilkington. 

Queste storie trovavano però poco credito. Voci di una meravigliosa fattoria, da cui gli uomini erano stati espulsi e nella quale gli animali curavano da sé i propri affari, continuavano a circolare in forme vaghe e contraddittorie, e per tutto l'anno un vento di ribellione spirò per la contea. Tori che erano sempre stati trattabili inferocivano; le pecore abbattevano i recinti e divoravano il trifoglio; le mucche rovesciavano i secchi a calci; i cavalli da caccia rifiutavano di saltare gli ostacoli e lanciavano dall'altra parte chi li montava. 

Soprattutto l'aria e persino le parole di Animali d'Inghilterra erano conosciute dovunque: si erano divulgate con stupefacente rapidità. Gli uomini non potevano contenere la loro collera quando udivano quel canto. Non riuscivano a capire, dicevano, come le bestie potessero adattarsi a cantare una simile stupidaggine. Ogni animale sorpreso a cantarlo veniva staffilato sul posto. Pure quell'inno era insopprimibile. I merli lo fischiavano sulle siepi, i colombi lo tubavano fra gli olmi, se ne udiva il ritmo nel martello della fucina del fabbro, le campane delle chiese ne ripetevano l'aria. E, quando l'ascoltavano, gli uomini tremavano nel loro intimo perché sentivano in esso la profezia del loro futuro destino. 

Al principio di ottobre, quando già il grano era tagliato, ammucchiato e in parte trebbiato, uno stormo di piccioni venne roteando per l'aria e si posò nel cortile della Fattoria degli Animali nella più grande eccitazione. Jones e tutti i suoi uomini con una mezza dozzina d'altra gente di Foxwood e di Pinchfield erano entrati dal grande cancello e salivano per la via carrareccia che conduceva alla fattoria. Erano tutti armati di bastoni, meno Jones che recava in mano un fucile. Il loro scopo era certo quello di riconquistare la fattoria. 

Da lungo tempo la cosa era attesa e già erano stati fatti tutti i preparativi. Palla di Neve, che aveva studiato un vecchio libro sulle campagne di Giulio Cesare, trovato nella casa colonica, era incaricato dell'opera di difesa. Impartì presto i suoi ordini e in pochi istanti ogni animale fu al suo posto. Quando gli uomini si avvicinarono ai fabbricati della fattoria, Palla di Neve lanciò il suo primo attacco. Tutti i piccioni, trentacinque, volarono avanti e indietro sulle teste degli invasori lasciando cadere da mezz'aria il loro sterco e, mentre gli uomini cercavano di difendersi da questo, le oche, nascoste dietro le siepi, si lanciarono fuori e incominciarono a beccare malignamente le loro caviglie. Questa non era che una prima, leggera scaramuccia che aveva lo scopo di creare un poco di disordine, e senza difficoltà alcuna gli uomini scacciarono le oche coi bastoni. Palla di Neve lanciò allora la seconda linea di attacco. Muriel, Benjamin e tutte le pecore, con Palla di Neve in testa, si slanciarono avanti e spinsero e percossero gli uomini da ogni parte, mentre Benjamin girava loro attorno colpendoli coi suoi piccoli zoccoli. Ma ancora una volta gli uomini coi loro bastoni e le loro scarpe ferrate furono i più forti; e improvvisamente, a un grido di Palla di Neve, che era il segnale della ritirata, tutti gli animali si volsero e fuggirono attraverso l'ingresso del cortile. 

Gli uomini alzarono un urlo di trionfo. Essi videro, come si immaginavano, i loro nemici in fuga e in disordine e si precipitarono alle loro spalle. Era proprio quello che Palla di Neve aspettava. Non appena furono nel cortile, i tre cavalli, le tre mucche e il resto dei maiali che si era tenuto in agguato nel chiuso delle vacche uscirono tagliando loro la ritirata. Palla di Neve diede allora il segnale della carica. 

Egli stesso si lanciò direttamente su Jones. Jones se lo vide capitare addosso, alzò il fucile e sparò. I pallini tracciarono strisce sanguigne sul dorso di Palla di Neve e una pecora cadde morta. Senza fermarsi un istante, Palla di Neve lanciò i suoi novantaquattro chili contro le gambe di Jones. Jones fu proiettato su un mucchio di concime e il fucile gli sfuggì di mano. Ma lo spettacolo più terrificante fu Gondrano, che, impennato sulle gambe posteriori come uno stallone, manovrava con le zampe anteriori, colpendo col suo possente zoccolo ferrato. La prima botta toccò a un garzone di stalla della Foxwood che, colpito al capo, cadde inanimato nel fango. A quella vista molti uomini gettarono il bastone, tentando la fuga. Il panico li colse e tutti gli animali si posero al loro inseguimento cacciandoli intorno al cortile. Furono presi a cornate, a calci, a morsi, vennero calpestati. Neppure un animale della fattoria, secondo il suo potere, mancò di prendere su di essi la sua vendetta Persino il gatto, dal tetto, saltò improvvisamente sulle spalle di un boaro, conficcandogli le unghie nel collo e facendolo urlare per il dolore. Trovata per un momento la via libera, gli uomini furono ben lieti di precipitarsi fuori dal cortile e riguadagnare la strada maestra. Così, cinque minuti dopo la loro invasione, erano in ignominiosa ritirata sulla stessa via per la quale erano venuti, inseguiti da uno stormo di gazze che li fischiavano e li beccavano sul cranio. 

Tutti gli uomini erano fuggiti eccetto uno. In fondo al cortile Gondrano, accanto al garzone di stalla che giaceva col viso verso terra, cercava con le zampe di rivoltarlo. Il ragazzo non si muoveva. «E' morto» disse tristemente Gondrano. «Non avevo intenzione di ucciderlo. Ho dimenticato di avere i ferri ai piedi. Chi crederà che non l'ho fatto apposta?» 

«Bando al sentimentalismo, compagni!» gridò Palla di Neve, dalle cui ferite colava ancora il sangue. «La guerra è la guerra. L'unico uomo buono è l'uomo morto.» 

«Non desidero togliere la vita, sia pure una vita umana» ripeté Gondrano, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. 

«Dov'è Mollie?» chiese qualcuno. Mollie infatti mancava. Per un momento vi fu grande allarme; si temeva che gli uomini l'avessero in qualche modo ferita o anche che 1'avessero condotta via con loro. Fu trovata infine nascosta nel suo stallo, con la testa affondata nel fieno della mangiatoia. Era fuggita al colpo di fucile. E quando tornarono nel cortile trovarono che il garzone di stalla, il quale in realtà era solo stordito, si era rimesso in piedi e se n'era andato. 

Gli animali si radunarono ora invasi da indescrivibile entusiasmo; ognuno raccontava le proprie imprese nella battaglia ad altissima voce. Venne subito improvvisata una celebrazione della vittoria. La bandiera fu innalzata e Animali d'Inghilterra fu cantato più volte; furono date solenni onoranze funebri alla pecora morta e sulla sua tomba venne piantato un cespuglio di biancospino. Presso la tomba, Palla di Neve tenne un breve discorso, magnificando la necessità che avevano tutti gli animali di esser pronti a morire per la Fattoria degli Animali, se morire occorreva. 

Gli animali decisero all'unanimità di creare una decorazione militare, "Eroe Animale di Prima

Classe", che venne conferita a Palla di Neve e a Gondrano. Consisteva in una medaglia di ottone (erano in realtà ornamenti per cavalli trovati nella selleria) da portarsi la domenica e nei giorni di festa. Fu istituito anche un "Eroe Animale di Seconda Classe" che fu dato alla memoria della pecora morta. Si discusse a lungo circa il nome da dare alla battaglia. Infine venne chiamata la Battaglia del Chiuso delle Vacche, perché da lì era partito il grande attacco. Il fucile del signor Jones fu trovato in mezzo al letame, e si sapeva che nella casa colonica vi era rifornimento di cartucce Si decise di porre il fucile ai piedi dell'asta della bandiera, come un pezzo d'artiglieria, e di spararlo due volte l'anno: una volta il dodici ottobre, anniversario della Battaglia del Chiuso delle Vacche, e una volta a S. Giovanni, anniversario della Rivoluzione. 

 

Capitolo V 

 

Con l'avanzare dell'inverno, Mollie divenne sempre più indisciplinata. Ogni mattina si recava tardi al lavoro e si scusava dicendo che era stata colta dal sonno; si lagnava di misteriosi dolori, benché il suo appetito fosse sempre eccellente. Con ogni pretesto lasciava il lavoro e andava ad abbeverarsi allo stagno dove scioccamente si fermava fissando la propria immagine riflessa nell'acqua. Ma si diceva anche qualcosa di peggio. Un giorno, mentre Mollie trotterellava tutta allegra per il cortile facendo ondeggiare la lunga coda e masticando un filo d'erba, Berta la prese da parte. 

«Mollie» cominciò «ho qualcosa di molto serio da dirti. Stamane ti ho vista guardare oltre lo steccato che divide la Fattoria degli Animali da Foxwood. Uno degli uomini del signor Pilkington stava dall'altra parte dello steccato. E io ero lontana, ma sono quasi certa di aver visto - egli ti parlava e tu lasciavi che ti accarezzasse il naso. Che significa ciò, Mollie?» 

«Non è vero! Non ero io! Non è vero!» grido Mollie, cominciando a impennarsi e a battere il terreno con lo zoccolo. 

«Mollie! Guardami in faccia. Puoi darmi 1a tua parola d'onore che quell'uomo non ti accarezzava il naso?» 

«Non è vero!» ripeté Mollie, ma non poté guardare Berta in faccia, e subito dopo si volse e galoppò verso il campo. 

Un pensiero colpì Berta. Senza dir nulla a nessuno andò allo stallo di Mollie e con le zampe rivoltò la paglia. Nascosti sotto la paglia vi erano un mucchietto di zollette di zucchero e nastri di differenti colori. 

Tre giorni dopo Mollie sparì. Per più settimane nulla si seppe di lei, poi i piccioni riferirono di averla vista dall'altra parte di Willingdon. Stava fra le stanghe di un elegante calesse dipinto di rosso e di nero, fermo davanti a una liquoreria. Un uomo grasso, dal viso rosso, con calzoni a scacchi e uose, dall'aspetto di agente delle imposte, accarezzava il suo naso e le dava zollette di zucchero. Il suo mantello era rasato di fresco e attorno al ciuffo che le cadeva sulla fronte era legato un bel nastro rosso. Sembrava molto contenta, dissero i piccioni. Fra gli animali non si parlò più di Mollie.

In gennaio il freddo si fece intenso. La terra era come ferro e nessun lavoro poteva esser fatto nei campi. Si tennero molte riunioni nel grande granaio e i maiali si occuparono di fare programmi di lavoro per la futura stagione. Era cosa ormai convenuta e accettata che ai maiali, i quali evidentemente avevano un'intelligenza superiore a quella degli altri animali, spettasse decidere di ogni questione riguardante il governo della fattoria, benché le loro decisioni dovessero venir poi ratificate da una maggioranza di voti. Questa sistemazione sarebbe andata abbastanza bene senza il continuo dissenso fra Palla di Neve e Napoleon. Essi discordavano su ogni punto in cui discordare era possibile. Se uno era del parere che una maggior area fosse destinata alla semina dell'orzo, l'altro certo domandava una maggior estensione per l'avena; e se uno diceva che quel tal campo era solo buono per piantar cavoli, l'altro dichiarava che non serviva che a radici. Ognuno aveva il proprio modo di vedere e avvenivano violenti dibattiti. Alle riunioni spesso Palla di Neve otteneva la maggioranza per i suoi brillanti discorsi, ma Napoleon era più abile nel sollecitare per sé i voti degli elettori. Particolare successo otteneva fra le pecore. Negli ultimi tempi le pecore avevano preso a belare: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo» a proposito e a sproposito, e spesso con questo interrompevano le riunioni. Fu notato che, specialmente nei punti culminanti dei discorsi di Palla di Neve, esse intonavano: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo». Palla di Neve aveva fatto uno studio profondo su alcuni numeri arretrati di "L'agricoltore e l'allevatore di bestiame" trovati nella casa colonica ed era pieno di progetti per innovazioni e migliorie. Parlava da competente di irrigazioni, di canali di scolo, di concimi base, e aveva elaborato un complicato schema secondo il quale tutti gli animali avrebbero deposto direttamente nel campo i loro escrementi, ogni giorno in un punto diverso, per risparmiare il lavoro di trasporto. Napoleon non espose alcun progetto suo, ma disse tranquillamente che quelli di Palla di Neve non sarebbero venuti a nulla e che, a suo parere, non costituivano che una perdita di tempo. Ma di tutte le controversie nessuna fu tanto aspra come quella riguardante il mulino a vento. 

Nel lungo pascolo, non lontano dalle dipendenze della fattoria, sorgeva una collinetta che era il punto più alto della tenuta. Dopo aver studiato il terreno, Palla di Neve dichiarò che quello era il posto adatto per un mulino a vento, il quale avrebbe potuto azionare una dinamo e fornire così di forza elettrica la fattoria. Con questa si sarebbero potute illuminare le stalle, riscaldarle d'inverno e mettere pure in azione una sega circolare, un trinciapaglia, una affettatrice per barbabietole e una macchina elettrica per la mungitura. Gli animali non avevano mai udito nulla di simile (perché la fattoria era antiquata e non possedeva che un'attrezzatura primitiva), e ascoltavano pieni di stupore mentre Palla di Neve evocava immagini di macchine fantastiche che avrebbero lavorato per loro mentre tranquillamente essi avrebbero pascolato nei campi o arricchito le loro menti con letture e conversazioni. Nello spazio di poche settimane il progetto di Palla di Neve per il mulino a vento fu portato a termine. I particolari meccanici erano stati ricavati principalmente da tre libri che erano appartenuti al signor Jones: Mille cose utili per la casa, L'arte del muratore e Elettricità per principianti. Palla di Neve usava come suo studio particolare una baracca che un tempo era servita da camera per le incubatrici, e aveva un pavimento di legno levigato e adatto per disegnarvi sopra. Là si chiudeva per ore e ore. Coi suoi libri tenuti aperti da una pietra e con un pezzo di gesso stretto fra le articolazioni delle zampe anteriori, si muoveva rapidamente avanti e indietro, disegnando una linea dopo l'altra e gettando ogni tanto grugniti di soddisfazione. A poco a poco il progetto si sviluppò in una complicata massa di curve e di linee che coprivano quasi la metà del pavimento, del tutto incomprensibili agli altri animali, ma che facevano loro profonda impressione. Tutti andavano almeno una volta al giorno a guardare i disegni di Palla di Neve. Venivano persino le galline e le oche che avevano gran pena a non camminare sul tracciato di gesso. Solo Napoleon se ne teneva lontano. Dal primo momento si era dichiarato contrario al mulino a vento. Tuttavia, un giorno, giunse inatteso a esaminare il piano. Con passo pesante fece il giro del locale, osservò attentamente ogni particolare del disegno, annusando ogni tanto, poi si fermò un poco contemplandolo con la coda dell'occhio, infine, subitamente, alzò la gamba, orinò sul progetto e uscì senza pronunciar parola. Tutta la fattoria era profondamente divisa a proposito del mulino a vento. Palla di Neve non negava che la sua costruzione sarebbe stata difficile. Si dovevano squadrare le pietre e innalzare le mura, poi si dovevano fare le pale, e dopo ci sarebbe stato bisogno della dinamo e dei cavi. Palla di Neve non diceva come avrebbe potuto procurarsi tutto questo, ma assicurava che ogni cosa si sarebbe potuta fare in un anno. E dopo, dichiarava, si sarebbe risparmiato tanto lavoro che gli animali non avrebbero avuto bisogno di affaticarsi che tre giorni per settimana. D'altra parte, Napoleon dimostrava che la grande necessità del momento era quella di accrescere la produzione dei viveri e che se perdevano tempo col mulino sarebbero morti di fame. Gli animali si divisero in due fazioni, sotto il grido «Votate per Palla di Neve e la settimana di tre giorni» e «Votate per Napoleon e la mangiatoia piena». Benjamin fu l'unico che non parteggiasse né per l'una né per l'altra fazione. Egli rifiutava di credere sia a una maggior abbondanza di cibo, sia a un minor lavoro in grazia del mulino a vento. Mulino o non mulino, diceva, la vita andrà avanti come è sempre andata, cioè male. 

Oltre la discussione del mulino, vi era la questione della difesa della fattoria. Sapevano bene che gli uomini, sebbene fossero stati sconfitti nella Battaglia del Chiuso delle Vacche, avrebbero potuto fare un altro e più deciso tentativo per riconquistare la fattoria e restaurarvi Jones. Come sempre, Palla di Neve e Napoleon erano in disaccordo. Secondo Napoleon, ciò che gli animali dovevano fare era procurarsi armi da fuoco e addestrarsi al loro uso. Palla di Neve era invece del parere che si dovessero spedire stormi e stormi di piccioni a suscitare la Rivoluzione fra gli animali delle altre fattorie. L'uno argomentava che se non avessero saputo difendersi da soli erano destinati a esser vinti; l'altro ragionava che, se la Rivoluzione fosse scoppiata dappertutto, essi non avrebbero più avuto bisogno di difendersi. Gli animali ascoltavano prima Napoleon, poi Palla di Neve e non sapevano decidere chi dei due avesse ragione. In realtà si trovavano sempre d'accordo con quello che parlava al momento. Venne finalmente il giorno in cui il progetto di Palla di Neve fu pronto. Nel Consiglio della domenica successiva la questione se i lavori del mulino a vento dovessero cominciare o no fu posta ai voti. Quando gli animali furono tutti riuniti nel grande granaio, Palla di Neve si alzò e, benché talvolta interrotto dal belato delle pecore, espose le sue ragioni in favore della costruzione del mulino. Poi si alzò a rispondere Napoleon. Egli disse tranquillamente che il mulino era una sciocchezza e che il suo consiglio era che nessuno votasse per esso; poi subito sedette. Non aveva parlato che per trenta secondi e sembrava affatto indifferente all'effetto prodotto. Allora Palla di Neve scattò in piedi e, gridando alle pecore che avevano ricominciato a belare, uscì in una appassionata perorazione in favore del mulino. Fino a quel momento le simpatie degli animali erano state equamente divise, ma allora l'eloquenza di Palla di Neve ebbe il sopravvento. In frasi brillanti egli fece un quadro della Fattoria degli Animali quale sarebbe stata quando il vile lavoro non avrebbe più gravato sul dorso delle bestie. La sua immaginazione andava ora ben oltre il trinciapaglia e l'affettatrice di barbabietole. L'elettricità, disse, avrebbe potuto muovere trebbiatrici, aratri, rastrelli, rulli, macchine per falciare il grano e legare i covoni, oltre che fornire le stalle di luce elettrica e di riscaldamento. Quando ebbe finito di parlare nessuno più dubitava a chi sarebbe andato il voto. Ma proprio allora Napoleon si alzò e gettando una strana occhiata di traverso a Palla di Neve emise un altissimo lamento, quale nessuno 1'aveva mai sentito emettere. A questo rispose un terribile latrato, e nove enormi cani che portavano collari ornati di punte d'ottone fecero irruzione nel granaio. Essi si avventarono su Palla di Neve che balzò dal suo posto appena in tempo per sfuggire alle loro feroci mascelle. In un istante si trovò fuori coi cani che lo inseguivano. Troppo sbalorditi e spaventati per parlare, tutti gli animali si affollarono sulla porta per assistere all'inseguimento. Palla di Neve correva attraverso il lungo pascolo che conduceva alla strada. Correva come solo un maiale sa correre, ma i cani gli erano alle calcagna. A un tratto scivolò e parve certo che sarebbe stato raggiunto. Poi si rialzò, correndo sempre più forte; ma i cani guadagnarono ancora terreno. Uno di essi era quasi riuscito ad addentare la coda di Palla di Neve, ma Palla di Neve con un rapido movimento poté liberarsi proprio a tempo. Con un ultimo slancio, quando ormai il suo vantaggio era ridotto a pochi centimetri, sgusciò attraverso un'apertura del recinto e non fu visto mai più. Muti e terrorizzati, gli animali lentamente rientrarono nel granaio. Poco dopo balzarono dentro, di ritorno, i cani. Dapprima nessuno riusciva a immaginare da dove queste creature fossero venute; ma il problema fu presto risolto: erano i cuccioli che Napoleon aveva tolto alle proprie madri e che aveva allevato in segreto. Bené non avessero ancora raggiunto il loro pieno sviluppo, erano cani enormi e dall'aspetto feroce di lupi. Si posero vicini a Napoleon e si vide che dimenavano le code allo stesso modo che gli altri cani usavano fare con il signor Jones. 

Napoleon, seguito dai cani, montò ora su quella specie di palco da cui il Vecchio Maggiore aveva un tempo pronunciato il suo discorso. Annunciò che da quel momento le sedute della domenica mattina sarebbero state sospese. Esse non erano necessarie e non costituivano che una perdita di tempo. In avvenire tutte le questioni relative al lavoro della fattoria sarebbero state definite da uno speciale comitato di maiali presieduto da lui stesso. Questo comitato si sarebbe riunito privatamente e le sue decisioni sarebbero poi state comunicate agli altri animali. Gli animali si sarebbero ancora riuniti la domenica mattina per il saluto alla bandiera, per cantare Animali d'Inghilterra e ricevere gli ordini per la settimana; non vi sarebbero state più discussioni. Nonostante l'emozione provocata dall'espulsione di Palla di Neve, gli animali furono costernati da questo annuncio. Molti di loro avrebbero protestato se fossero riusciti a trovare le giuste ragioni. Persino Gondrano si sentiva vagamente turbato. Abbassò le orecchie, scosse il ciuffo sulla fronte e fece un grande sforzo per raccogliere i suoi pensieri; ma infine non trovo nulla da dire. Alcuni maiali invece riuscirono un poco ad esprimersi. Quattro giovani porci in prima fila emisero acute strida di disapprovazione e tutti e quattro si alzarono e cominciarono a parlare assieme. Ma ecco che i cani accovacciati attorno a Napoleon fecero udire un profondo e minaccioso brontolio, e i porci tacquero e tornarono a sedere. Allora le pecore uscirono in un altissimo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» che andò avanti per circa un quarto d'ora e mise fine a ogni possibilità di discussione. Poi Clarinetto fu mandato in giro per la fattoria a spiegare agli altri la nuova sistemazione. 

«Compagni» disse «io confido che ogni animale saprà qui apprezzare il sacrificio che il compagno Napoleon ha fatto prendendo sopra di sé questo maggior lavoro. Non pensate, compagni, che la direzione sia un piacere! Al contrario, essa è una grande e pesante responsabilità. Nessuno più del compagno Napoleon crede che tutti gli animali sono uguali. Troppo felice egli sarebbe di lasciarvi prendere da voi stessi le decisioni. Ma potrebbe accadere che prendeste decisioni errate, e che avverrebbe allora? Supponete che voi aveste deciso di seguire Palla di Neve col suo mulino campato nella luna, Palla di Neve che, come ora sappiamo, altro non era che un criminale!». 

«Ha combattuto valorosamente alla Battaglia del Chiuso delle Vacche» osservò qualcuno. 

«Il valore non basta» disse Clarinetto. «La lealtà e l'obbedienza sono assai più importanti. E quanto alla Battaglia del Chiuso delle Vacche, credo che verrà un giorno in cui troveremo che la parte avuta da Palla di Neve fu molto esagerata. Disciplina, compagni, disciplina ferrea! Questa è oggi la parola d'ordine. Un passo falso, e i nostri nemici ci sopraffaranno. Certo, compagni, voi non volete il ritorno di Jones!». 

Ancora una volta a questo argomento nulla si poteva opporre. Gli animali non volevano certamente il ritorno di Jones; se i dibattiti della domenica mattina potevano esporli a quel pericolo, i dibattiti dovevano cessare. Gondrano, che ora aveva avuto tempo di pensare, si fece portavoce del sentimento generale dicendo: «Se il compagno Napoleon lo dice, bisogna che sia così». E da quel momento fece sua la massima: «Napoleon ha sempre ragione» in aggiunta al suo motto personale: «Lavorerò di più». 

Intanto la stagione avanzava ed era cominciata l'aratura di primavera. La baracca ove Palla di Neve aveva disegnato il suo progetto di mulino a vento era stata chiusa e si supponeva che il progetto stesso fosse stato cancellato dal pavimento. Tutte le domeniche mattina, alle dieci, gli animali si radunavano nel grande granaio per ricevere gli ordini della settimana. Il teschio del Vecchio Maggiore, ora ripulito di tutta la carne, era stato dissotterrato dal frutteto e posto su un ceppo ai piedi dell'asta della bandiera, accanto al fucile. Dopo l'alzabandiera, gli animali dovevano sfilare davanti al teschio in atto reverente prima di entrare nel granaio. Ora non sedevano tutti assieme come usavano fare nel passato. Napoleon con Clarinetto e un altro maiale chiamato Minimus, che aveva il notevole dono di comporre inni e poesie, sedevano sul fronte della piattaforma rialzata; i nove cani formavano un semicerchio attorno a loro e dietro si accomodavano gli altri maiali. Tutti gli altri animali sedevano loro dinanzi nel corpo principale del granaio. Napoleon leggeva gli ordini per la settimana con rude stile soldatesco e, dopo aver cantato per una sola volta in coro Animali d'Inghilterra, l'adunata veniva sciolta. 

La terza domenica dopo l'espulsione di Palla di Neve gli animali furono sorpresi nell'udire Napoleon annunciare che, dopo tutto, il mulino a vento sarebbe stato costruito. Non diede alcuna ragione di quel mutamento di pensiero, ma solo avvertì gli animali che tale opera li avrebbe costretti a un ben duro lavoro; sarebbe stato anche necessario ridurre le loro razioni. Il progetto, tuttavia, era stato preparato fino all'ultimo particolare. Uno speciale comitato di maiali vi aveva lavorato nelle ultime tre settimane. Si prevedeva che la costruzione del mulino e di altre migliorie avrebbe preso due anni. 

Quella sera Clarinetto, in via privata, spiegò agli altri animali che in realtà Napoleon non era mai stato avverso al mulino a vento, anzi, sua era stata la prima idea, e il progetto che Palla di Neve aveva disegnato sull'impiantito della baracca era stato effettivamente rubato dalle carte di Napoleon.

Il mulino era, infatti, una creazione di Napoleon. Perché allora, chiese qualcuno, egli vi si era opposto con tanta veemenza? Quella, disse Clarinetto, era stata un'astuzia del compagno Napoleon. La sua opposizione al mulino non era stata che una finta, una manovra per sbarazzarsi di Palla di Neve il quale aveva un carattere pericoloso e una cattiva influenza. Ora che Palla di Neve non c'era più, il progetto poteva venire eseguito senza la sua interferenza. Questo, disse Clarinetto, è ciò che si chiama tattica. E ripeté molte volte: «Tattica, compagni, tattica!» saltellando qua e là e dimenando la coda con un'allegra risata. Gli animali non erano sicuri del significato della parola, ma Clarinetto si esprimeva in modo tanto convincente, e i tre cani che per caso erano con lui ringhiavano in modo così minaccioso che essi accettarono la spiegazione senza chiedere altro.  

 

Capitolo VI

 

Come schiavi lavorarono gli animali per tutto quell'intero anno. Ma nel loro lavoro erano felici: non si lamentavano né di sforzi né di sacrifici, ben sapendo che quanto facevano era fatto a loro beneficio e a beneficio di quelli della loro specie che sarebbero venuti dopo di loro, e non per l'uomo infingardo e ladro. 

Durante la primavera e l'estate lavorarono sessanta ore la settimana, e in agosto Napoleon annunciò che ci sarebbe stato lavoro anche nel pomeriggio della domenica. Questo lavoro sarebbe stato assolutamente volontario; chi se ne fosse astenuto però avrebbe avuta ridotta di metà la sua razione. Ma anche così non si riusciva a giungere a tutto. Il raccolto era stato un po' meno buono dell'anno precedente e due campi che avrebbero dovuto essere seminati a radici al principio dell'estate non erano stati seminati perché l'aratura non era stata condotta a termine per il tempo voluto. Era prevedibile che l'inverno seguente sarebbe stato assai duro. 

Il mulino presentava inattese difficoltà. Vi era nella fattoria una buona cava di pietre da calcina, e una quantità di sabbia e di cemento era stata trovata in una delle serre, così che si aveva a portata di mano tutto il materiale da costruzione. Ma il problema che gli animali non riuscirono sulle prime a risolvere fu il modo di spezzare le pietre in blocchi delle dimensioni desiderate. Sembrava che non vi fosse altro mezzo per far ciò all'infuori del piccone e della leva, strumenti che nessun animale poteva usare perché nessuno poteva sostenersi sulle sole zampe posteriori. Solo dopo settimane di vani sforzi balenò a qualcuno la giusta idea: utilizzare, cioè, la forza di gravità. Enormi massi, di gran lunga troppo grossi per essere usati così com'erano, furono adagiati sul fondo della cava. Gli animali legavano loro attorno grosse funi, poi tutti assieme, mucche, cavalli, pecore, ogni animale atto a reggere una fune - perfino i maiali talvolta si univano agli altri nei momenti critici - li tiravano con disperante lentezza su per la china fino in cima alla cava da dove erano spinti giù nel baratro in fondo al quale si infrangevano. Trasportare le pietre una volta spezzate era cosa relativamente semplice. I cavalli le trasportavano coi carri, le pecore ne trascinavano un pezzo alla volta, persino Muriel e Benjamin si aggiogavano a una vetturetta a due ruote e facevano la loro parte. Alla fine dell'estate era stata accumulata una sufficiente quantità di pietrame, e allora ebbe inizio la costruzione sotto la direzione dei maiali. 

Ma il procedimento era lento e faticoso. Spesso occorreva tutta una giornata di sforzi estenuanti per trascinare un unico masso sulla cima della cava, e talvolta, lasciato cadere nel vuoto, il masso non si infrangeva. Non si sarebbe giunti a capo di nulla senza Gondrano, la cui forza sembrava pari a quella di tutti gli altri animali messi assieme. Quando il masso cominciava a scivolare e gli animali gridavano, disperati di sentirsi trascinare giù per la china, era sempre Gondrano che, tirando la fune, con sforzo supremo riusciva a salvare la situazione. Vederlo faticare su per la china, centimetro per centimetro, col respiro affannoso, la punta degli zoccoli affondata nel terreno e i grandi fianchi coperti di sudore, riempiva tutti di ammirazione. Berta lo ammoniva talvolta di stare attento a non affaticarsi troppo, ma Gondrano non le dava ascolto. Le sue due massime: «Lavorerò di più» e: «Napoleon ha sempre ragione» gli bastavano quale risposta a tutti i problemi. Aveva convenuto col giovane gallo di farsi chiamare al mattino tre quarti d'ora prima, invece di mezz'ora. E nei momenti di sosta, che non erano molti, adesso andava solo alla cava, ammucchiava un carico di pietre spezzate e lo trasportava presso il mulino. Gli animali stettero abbastanza bene durante quell'estate nonostante l'asprezza del lavoro. Se il cibo non era più abbondante di quanto lo fosse ai tempi di Jones, non lo era però meno. Il vantaggio di non dover pensare che a se stessi e non dover mantenere anche cinque prodighi esseri umani era così grande che ci sarebbero volute ben gravi privazioni per soverchiarne il valore. E in molti casi il sistema animale di fare le cose era più efficiente e risparmiava lavoro. Per esempio, la sarchiatura veniva fatta con una perfezione ben

lungi dall'essere raggiunta dagli uomini. E ancora, dal momento che ora nessun animale rubava, non era necessario dividere i pascoli dai campi arati, risparmiando così una quantità di lavoro per la manutenzione delle siepi e degli steccati. Tuttavia col trascorrere dell'estate si cominciarono a sentire varie e impreviste deficienze. Vi era bisogno di petrolio, di chiodi, di corda, di biscotti per i cani, di ferro per ferrare i cavalli, e nessuna di queste cose poteva venir prodotta nella fattoria. Più tardi ci sarebbe pure stato bisogno di semenze, di concime chimico, oltre a vari strumenti e, infine, del macchinario per il mulino a vento. Come ci si potesse procurare tutto questo nessuno riusciva a immaginarlo. 

Una domenica mattina quando gli animali si radunarono per ricevere gli ordini, Napoleon annunciò di essersi deciso a una nuova politica. Da quel momento la Fattoria degli Animali si sarebbe messa in rapporti d'affari con le fattorie vicine, non a scopo commerciale, naturalmente, ma semplicemente per ottenere certi materiali che erano urgentemente necessari. «I bisogni del mulino devono prevalere su ogni altra considerazione» disse. Stava perciò trattando la vendita di una partita di fieno e di una parte del raccolto del grano di quell'anno, e dopo, se vi fosse stato ancora bisogno di danaro, avrebbe iniziato la vendita delle uova di cui, a Willingdon, si era sempre fatto mercato. Le galline, disse Napoleon, avrebbero fatto con piacere questo sacrificio quale loro particolare contributo alla costruzione del mulino. 

Ancora una volta gli animali furono presi da una vaga inquietudine. Mai trattare con esseri umani, mai impegnarsi in imprese commerciali, mai far uso di danaro: non erano forse queste le principali decisioni approvate nella prima trionfante riunione dopo l'espulsione di Jones? Tutti gli animali ricordavano, o almeno credevano di ricordare, l'entusiastica approvazione di questi principi. I quattro maialetti che avevano protestato quando Napoleon aveva abolito le riunioni alzarono timidamente la voce, ma furono immediatamente ridotti al silenzio dal tremendo brontolio dei cani. Poi, come al solito, le pecore intonarono: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» e il momentaneo sbigottimento si smorzò. Infine Napoleon sollevò la zampa per imporre silenzio e annunciò che aveva già concluso tutte le trattative. Non ci sarebbe stato bisogno che qualche animale dovesse venire a contatto con l'uomo, cosa evidentemente indesiderabile. Intendeva prendere tutto il peso sulle sue spalle. Un certo signor Whymper, avvocato a Willingdon, aveva accettato di agire da intermediario fra la Fattoria degli Animali e il mondo di fuori, e sarebbe venuto alla fattoria ogni lunedì mattina per ricevere istruzioni. Napoleon terminò il suo discorso col solito grido: «Evviva la Fattoria degli Animali!» e, dopo il canto di Animali d'Inghilterra, le bestie furono licenziate. Clarinetto fece poi un giro per la fattoria per quietare gli animi. Assicurò che mai era stata decretata, e neppure suggerita, la risoluzione di non fare operazioni commerciali e di non far uso di danaro. Era una pura fantasia di cui forse si poteva rintracciare il principio nelle menzogne messe in giro da Palla di Neve. Pure, alcuni animali restavano ancora dubbiosi, ma Clarinetto chiese loro astutamente: «Siete certi di non aver sognato, compagni? Avete qualche documento di quella decisione? E' scritta da qualche parte, forse?». E poiché era certamente vero che nulla del genere era scritto, gli animali furono ben lieti di essersi sbagliati. Ogni lunedì il signor Whymper veniva alla fattoria, come era stato convenuto. Era un ometto dall'aspetto scaltro, con due lunghe basette ai lati del viso, un avvocato nel senso più stretto della parola, ma abbastanza astuto da aver capito prima di ogni altro che la Fattoria degli Animali avrebbe avuto bisogno di un mediatore e che la mediazione non sarebbe stata da disprezzarsi. Gli animali osservavano il suo andirivieni con una specie di terrore e lo evitavano il più possibile. Tuttavia la vista di Napoleon, che su quattro zampe dava ordini a Whymper che stava ritto su due, li riempiva di orgoglio e in parte li riconciliava con la nuova sistemazione. I loro rapporti con la razza umana non erano ora gli stessi di prima. Gli uomini non odiavano meno la Fattoria degli Animali ora che essa prosperava: anzi, l'odiavano di più. Tutti ritenevano come articolo di fede che presto o tardi la fattoria avrebbe fatto bancarotta e soprattutto che il mulino a vento sarebbe stato un insuccesso. Si radunavano nelle bettole e a mezzo di diagrammi si dimostravano l'un l'altro che il mulino era destinato a crollare, o, se rimaneva in piedi, non avrebbe mai funzionato. Eppure, senza volerlo, era nato in loro un certo rispetto per il modo

con cui gli animali sapevano condurre i propri affari. Un sintomo di questo rispetto si rivelava nel fatto che avevano cominciato a chiamare la Fattoria degli Animali col suo nome e avevano smesso la pretesa che si chiamasse Fattoria Padronale. Né più si facevano paladini di Jones, che, perduta la speranza di rientrare nella sua proprietà, era andato a vivere in un'altra parte della contea. Se non attraverso Whymper, nessun contatto v'era ancora fra la Fattoria degli Animali e il mondo di fuori, ma correvano voci insistenti che Napoleon stesse per contrarre rapporti di affari con il signor Pilkington di Foxwood o con il signor Frederick di Pinchfield; ma mai, fu osservato, con tutti e due simultaneamente. 

Intorno a quest'epoca, improvvisamente i maiali entrarono nella casa colonica e vi presero residenza. E ancora agli animali parve di ricordare che una decisione contraria a questo fosse stata presa nei primi tempi, e ancora Clarinetto seppe convincere che non si trattava precisamente di ciò. Era assolutamente necessario, disse, che i maiali, che erano il cervello della fattoria, avessero un posto tranquillo ove lavorare. Era anche più conforme alla dignità del Capo (perché negli ultimi tempi egli aveva preso a designare Napoleon col titolo di "Capo") vivere in una casa che non in un porcile. Tuttavia gli animali furono turbati nell'udire che i maiali non solo prendevano i pasti in cucina e usavano il salotto come luogo di ricreazione, ma che anche dormivano nei letti. Gondrano commentò la cosa col suo solito: «Napoleon ha sempre ragione!» ma Berta, che credeva di ricordare un veto assoluto contro i letti, andò verso il fondo del granaio e cercò di decifrare i Sette

Comandamenti là scritti. Sentendosi incapace di leggere più che singole lettere, si recò in cerca di Muriel. 

«Muriel» disse «leggimi il quarto comandamento. Non dice qualcosa circa il non dover dormire mai in un letto?» 

Con qualche difficoltà Muriel compitò. 

«Dice: Nessun animale dovrà dormire in un letto con lenzuola» annunciò finalmente. 

Caso strano, Berta non ricordava che il quarto comandamento avesse mai fatto menzione di lenzuola; ma poiché così era scritto sul muro, così doveva essere. E Clarinetto, che per caso passava in quel momento seguito da due o tre cani, poté metter la cosa nella sua vera luce. 

«Allora, compagni, avete udito che noi maiali dormiamo ora nei letti della casa colonica? E perché no? Non supporrete certo che ci fu mai regolamento contro i letti! Un letto significa semplicemente un luogo su cui si dorme. Un mucchio di paglia in una stalla è, propriamente parlando, un letto. Il regolamento era contro le lenzuola che sono un'invenzione umana. Noi abbiamo tolto le lenzuola dai letti e dormiamo fra le coperte. E che letti comodi sono! Ma non più comodi di quanto faccia a noi bisogno, ve lo posso assicurare, compagni, con tutto il lavoro di cervello che ci tocca ora fare. Non vorrete privarci del nostro riposo, non è vero, compagni? Non vorrete che noi ci sentiamo troppo stanchi per fare tutto il nostro dovere! Certo nessuno di voi desidera il ritorno di Jones!» 

Gli animali lo rassicurarono subito su questo punto e più nulla fu detto sui maiali che dormivano nei letti della casa colonica. E quando, qualche giorno dopo, fu annunciato che da quel momento in avanti i maiali si sarebbero alzati il mattino un'ora più tardi degli altri animali, non si levò lagnanza alcuna. Col giungere dell'autunno gli animali erano stanchi, ma felici. L'anno era stato duro e, dopo la vendita di una parte del fieno e del grano, i magazzini dei viveri per l'inverno non erano troppo pieni, ma il mulino compensava di tutto. Ora era quasi costruito a metà. Dopo la mietitura vi fu un periodo di tempo asciutto e sereno e gli animali raddoppiarono i propri sforzi pensando che valesse la pena affaticarsi tutto il giorno, avanti e indietro trascinando blocchi di pietra, se così facendo potevano alzare le mura di un altro piede. Gondrano usciva talvolta anche la notte e lavorava per un'ora o due al chiarore della luna piena. Nei momenti di riposo gli animali si aggiravano attorno al mulino a metà costruito, ammirando la robustezza e la perpendicolarità dei suoi muri e meravigliandosi di esser stati capaci di fabbricare una cosa tanto imponente. Solo il vecchio Benjamin rifiutava il suo entusiasmo al mulino, benché, come al solito, non dicesse nulla oltre la frase sibillina che gli asini hanno la vita lunga.

Venne novembre con rabbiosi venti di sudovest. La costruzione fu sospesa perché era ormai troppo umido per poter mescolare il cemento. Una notte infine il vento si scatenò con tanta violenza che i fabbricati tremavano sulle loro fondamenta e le tegole volavano dal tetto del granaio. Le galline si svegliarono schiamazzando terrorizzate perché tutte simultaneamente avevano sognato di udire in distanza un colpo di fucile. Il mattino seguente gli animali uscirono dalle loro stalle e trovarono che l'asta della bandiera era stata abbattuta e che un olmo presso il frutteto era stato divelto come un fuscello. Avevano appena osservato ciò, quando un grido di disperazione uscì dalla gola di ognuno di loro. Una vista terribile si parò dinanzi ai loro occhi: il mulino a vento era crollato. 

In massa si precipitarono sul posto. Napoleon, che raramente si muoveva oltre il passo, correva in testa a tutti. Sì, il frutto delle loro fatiche giaceva là, raso al suolo dalle fondamenta; le pietre che avevano spezzato e trasportato con tanto duro lavoro erano sparse tutto attorno. Incapaci di parlare, fissavano tristemente quel mucchio di blocchi crollati. Napoleon passeggiava su e giù in silenzio, annusando ogni tanto il terreno; la sua coda si era fatta rigida e muoveva nervosamente, segno di intensa attività mentale. A un tratto si fermò come se fosse riuscito a concretare il suo pensiero. 

«Compagni» disse quietamente «sapete chi è il responsabile di questo? Sapete chi è il nemico che è venuto stanotte e ha distrutto il nostro mulino? Palla di Neve!» ruggì all'improvviso, con voce tonante. «Palla di Neve ha fatto questo! Malignamente, credendo di distruggere i nostri piani e vendicarsi dell'ignominiosa espulsione, questo traditore, col favore della notte, si è introdotto qui e ha distrutto il nostro lavoro di quasi un anno. Compagni, io qui pronuncio sentenza di morte contro Palla di Neve. Eroe Animale di Seconda Classe e quattro galloni di mele a quell'animale che farà di lui giustizia; otto galloni a chiunque lo prenderà vivo!» 

Gli animali furono oltremodo sdegnati nell'apprendere che Palla di Neve era colpevole di simile azione. Si alzò un grido di condanna e ognuno incominciò a pensare al modo di impadronirsi di Palla di Neve, se mai fosse tornato. Quasi subito, a poca distanza dalla collinetta, vennero scoperte le impronte di un maiale. Le tracce non si prolungavano che per pochi metri, ma parevano condurre a un foro nello steccato. Napoleon le fiutò accuratamente e decretò che erano di Palla di Neve. La sua opinione era che Palla di Neve fosse venuto dalla direzione di Foxwood. 

«Non più indugi, compagni!» gridò Napoleon, dopo avere esaminato le impronte. «C'è lavoro da fare. Stamane stesso cominceremo a riedificare il mulino, e continueremo a fabbricare durante tutto l'inverno, piova o faccia sole. Insegneremo a quel miserabile traditore che non si distrugge facilmente il nostro lavoro. Ricordate, compagni, nessun mutamento deve essere apportato ai nostri piani: essi saranno tutti condotti a termine. Avanti, compagni! Evviva il mulino a vento! Evviva la Fattoria degli Animali!».

 

Capitolo VII 

 

Fu un inverno molto crudo. Al tempo burrascoso seguirono piogge pungenti miste a grandine e a neve, e grandi nevicate, poi un gelo durissimo che cominciò a rompersi a febbraio. Gli animali tuttavia proseguivano, come meglio potevano, la ricostruzione del mulino, ben sapendo che il mondo di fuori li stava a guardare e che l'uomo, invidioso, avrebbe gioito e trionfato se il mulino non fosse stato terminato in tempo. 

Per dispetto gli esseri umani fingevano di non credere che fosse stato Palla di Neve a distruggere il mulino; essi dicevano che era caduto perché i muri erano troppo sottili. Ma gli animali sapevano che non era così. Pure era stato deciso di costruire i muri con uno spessore di tre piedi in luogo dei diciotto pollici di prima, il che significava ammassare un'assai maggiore quantità di pietra. Per lungo tempo la cava fu piena di mucchi di neve e non si poté far nulla. Qualche progresso fu compiuto durante il periodo di gelo asciutto che seguì, ma era un lavoro crudele e gli animali non si sentivano più così pieni di speranza come si erano sentiti prima. Avevano sempre freddo, e spesso anche fame. Solo Gondrano e Berta non si erano mai persi d'animo. Clarinetto faceva bellissimi discorsi sulla gioia del servire e la dignità del lavorare, ma gli altri animali trovavano maggiore ispirazione nella forza di Gondrano e nel suo inestinguibile grido: «Lavorerò di più!». In gennaio cominciò a scarseggiare il cibo. La razione di grano venne drasticamente ridotta e fu annunciato che in compenso si sarebbe data una razione supplementare di patate. Poi si scoprì che la maggior parte delle patate si era gelata, perché non era stata sufficientemente coperta. I tuberi erano divenuti molli e incolori e pochi erano quelli mangiabili. Per giorni e giorni gli animali non ebbero altro per nutrirsi che paglia tritata e barbabietole. La fame pareva guardarli in faccia. 

Era questione vitale nascondere questo stato di cose al mondo di fuori. Imbaldanziti dal crollo del mulino gli uomini andavano inventando nuove menzogne sulla Fattoria degli Animali. Ancora una volta si sparse la voce che gli animali stavano morendo di fame e di malattie, che erano in continua lotta fra di loro e che erano risorti il cannibalismo e l'infanticidio. Napoleon ben sapeva che cosa sarebbe avvenuto se la realtà della situazione alimentare fosse stata conosciuta, e decise quindi di servirsi del signor Whymper per divulgare una impressione, contraria. Fin allora gli animali avevano avuto poco o nessun contatto con Whymper durante le sue visite settimanali; ora però alcuni animali scelti, per lo più pecore, ebbero istruzione di far giungere alle sue orecchie, così, come a caso, che le razioni erano state aumentate. Inoltre Napoleon ordinò che i recipienti quasi vuoti nel magazzino viveri fossero riempiti fino all'orlo di sabbia e ricoperti poi con quanto restava di grano e di farina. Con qualche acconcio pretesto Whymper fu portato nel magazzino ove poté dare un'occhiata alle provvigioni. Fu tratto in inganno e continuò a sostenere nel mondo di fuori che alla Fattoria degli Animali non v'era affatto scarsità di viveri. 

Verso la fine di gennaio si impose però la necessità di procurare altro grano da qualche parte. In quei giorni, Napoleon raramente appariva in pubblico, ma passava quasi tutto il suo tempo nella casa colonica di cui ogni porta era custodita da cani dall'aspetto feroce. Quando usciva si mostrava sempre in forma ufficiale, con una scorta di sei cani che lo circondava o da vicino e ringhiavano a chiunque si accostasse. Spesso non si faceva vedere neppure il mattino della domenica, ma impartiva gli ordini a mezzo di un altro maiale, solitamente Clarinetto. Una domenica mattina Clarinetto annunciò che le galline, che erano allora rientrate dopo aver deposto, dovevano consegnare le loro uova. Napoleon aveva accettato, a mezzo di Whymper, un contratto per quattrocento uova settimanali. Il ricavo sarebbe bastato a pagare una sufficiente quantità di granaglie e bietole per tirare avanti fino all'estate, epoca in cui le condizioni si sarebbero fatte più facili. Quando udirono questo, le galline alzarono alte grida. Erano state già da tempo avvertite che tale sacrificio poteva rendersi necessario, ma non avevano mai creduto che la cosa potesse avverarsi. Stavano già preparandosi per la cova primaverile e protestavano che portar loro via le uova in quel momento era un vero delitto. Per la prima volta dall'espulsione di Jones vi fu qualcosa che assomigliava a una ribellione. Condotte da tre giovani polli Black Minorca le galline fecero uno sforzo deciso per opporsi ai desideri di Napoleon. Il loro sistema fu di volare in cima ai trespoli e là deporre le uova che si infrangevano a terra. Napoleon fu pronto e spietato. Ordinò che venisse sospesa la razione alle galline e decretò che qualunque animale avesse dato sia pure un grano di frumento a una gallina fosse punito con la morte. I cani erano incaricati dell'esecuzione di tale ordine. 

Per cinque giorni le galline tennero duro, poi capitolarono e tornarono ai soliti luoghi di cova. Nove galline erano morte nel frattempo. I loro corpi vennero seppelliti nel frutteto, e fu detto che erano morte di coccidiosi. Whymper non seppe nulla di tutto questo e le uova furono debitamente consegnate; il furgoncino di un droghiere veniva a prenderle alla fattoria una volta alla settimana. 

Durante tutto quel tempo nessuno aveva più visto Palla di Neve. Si diceva che fosse nascosto in una delle fattorie vicine, Foxwood o Pinchfield. A quell'epoca i rapporti di Napoleon con gli altri agricoltori si erano fatti meno tesi. Avvenne che nel cortile vi fosse una catasta di tronchi d'albero che giaceva lì da dieci anni, da quando cioè era stato tagliato un boschetto di faggi. Il legno era ben stagionato e Whymper consigliò a Napoleon di venderlo: il signor Pilkington e il signor Frederick l'avrebbero acquistato molto volentieri. Napoleon esitava fra i due e non riusciva a decidersi. Fu notato che ogni qual volta egli sembrava sul punto di venire ad un accordo con Frederick, subito si sentiva dire che Palla di Neve era nascosto a Foxwood, mentre quando inclinava verso il signor Pilkington si diceva che Palla di Neve fosse a Pinchfield. Improvvisamente, all'inizio della primavera, si scoprì una cosa che pose tutti in allarme. Palla di Neve segretamente entrava nella fattoria la notte! Gli animali erano così turbati che quasi non riuscivano più a dormire nelle loro stalle. Ogni notte, si diceva, col favore delle tenebre, si introduceva compiendo ogni sorta di malefatte. Rubava il grano, rovesciava i secchi del latte, rompeva le uova, calpestava i campi seminati, rosicchiava la corteccia degli alberi da frutto. Di qualunque cosa andasse a male era ora diventata abitudine dare la colpa a Palla di Neve. Se si rompeva un vetro, o un tubo di scolo si otturava, si poteva esser sicuri di sentir dire da qualcuno che Palla di Neve era venuto durante la notte e aveva fatto il malanno; e quando venne smarrita la chiave del magazzino viveri, tutti furono convinti che Palla di Neve l'avesse gettata nel pozzo. Fatto abbastanza curioso, anche quando la chiave fu ritrovata sotto un sacco di farina si continuò a credere la stessa cosa. Le mucche dichiaravano unanimi che Palla di Neve si introduceva la notte nelle loro stalle e le mungeva mentre dormivano. Si diceva anche che i topi, i quali in quell'inverno avevano dato molto fastidio, erano in lega con Palla di Neve. 

Napoleon decretò che si sarebbe fatta una severissima inchiesta sulle attività di Palla di Neve. Scortato dai suoi cani, uscì e fece un accurato giro d'ispezione alle dipendenze della fattoria, seguito a rispettosa distanza da tutti gli altri animali. A ogni passo Napoleon si fermava e annusava il terreno in cerca delle tracce di Palla di Neve che, egli diceva, poteva scoprire dall'odore. Annusò in ogni angolo, nel granaio, nella stalla delle vacche, nel pollaio, nell'orto, e ovunque trovò tracce di Palla di Neve. Appoggiava il grugno a terra, annusava più volte profondamente, poi con voce terribile gridava: «Palla di Neve è stato qui! Sento bene il suo odore!» e al nome "Palla di Neve" tutti i cani si mettevano a ringhiare ferocemente e mostravano i denti. 

Gli animali erano spaventatissimi. Sembrava loro che Palla di Neve fosse una specie di potenza invisibile che riempiva tutta l'aria attorno e li minacciava di ogni genere di pericoli. Una notte Clarinetto li radunò, e col volto atteggiato a gran timore disse loro che aveva qualcosa di serio da comunicare. «Compagni!» gridò Clarinetto saltellando nervosamente «è stata scoperta una cosa terribile. Palla di Neve si è venduto a Frederick della Fattoria Pinchfield e, assieme a quell'uomo, sta ora complottando un attacco contro di noi per toglierci la fattoria! Palla di Neve farà da guida al momento dell'assalto. Ma v'è di peggio. Credevamo che la Rivoluzione di Palla di Neve fosse mossa solo da vanità e ambizione, ma avevamo torto, compagni. Sapete la ragione vera qual è? Palla di Neve fin dal primo inizio era in lega con Jones. Egli fu sempre l'agente segreto di Jones. Ciò è provato da documenti da lui lasciati e che solo ora abbiamo scoperto. Questo spiega tante cose, compagni. Non avete visto forse coi vostri occhi com'egli - fortunatamente senza riuscirvi - tentasse di lasciarci sconfiggere e distruggere nella Battaglia del Chiuso delle Vacche?» 

Gli animali restarono esterrefatti. Questa malvagità superava di gran lunga la distruzione del mulino. Ma occorse loro qualche tempo per capacitarsene. Tutti ricordavano, o credevano di ricordare, come Palla di Neve fosse corso all'attacco davanti a loro nella Battaglia del Chiuso delle Vacche, come cercasse di ricollegarli e incoraggiarli, come non si fosse fermato un istante, neppure quando le pallottole di Jones gli avevano ferito il dorso. Dapprima ebbero difficoltà a comprendere come tutto questo poteva accordarsi con la sua alleanza con Jones. Persino Gondrano, che raramente faceva domande, era perplesso. Si sdraiò ripiegando al disotto le zampe anteriori, chiuse gli occhi e con grande sforzo cercò di richiamare i suoi ricordi. 

«Non lo credo» disse. «Palla di Neve ha combattuto valorosamente alla Battaglia del Chiuso delle

Vacche. L'ho visto io. Non gli abbiamo forse dato, subito dopo, l'"Eroe Animale di Prima Classe"?» 

«Quello fu il nostro errore, compagno. Infatti ora sappiamo - è tutto scritto nei documenti segreti che abbiamo trovati - che in realtà cercava di trascinarci alla nostra distruzione.» 

«Ma è stato ferito» disse Gondrano. «Tutti noi lo abbiamo visto correre coperto di sangue.» 

«Questo faceva parte del piano!» gridò Clarinetto. «Il colpo di Jones lo sfiorò appena. Ve lo potrei far veder scritto da lui stesso, se sapeste leggere. Secondo il complotto, al momento critico Palla di Neve doveva dare il segnale della fuga e lasciare il campo al nemico. E quasi ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per il nostro eroico Capo, il compagno Napoleon. Non ricordate come, proprio nel momento in cui Jones e i suoi uomini facevano irruzione nel cortile, Palla di Neve improvvisamente si mettesse a fuggire e come molti animali lo seguirono? E non ricordate che proprio nel momento giusto, quando si sparse il panico e tutto pareva perduto, il compagno Napoleon si slanciò avanti al grido di "Morte all'Umanità!" e affondò i denti nelle gambe di Jones? Certo ricorderete tutto ciò, compagni!» esclamò Clarinetto, saltellando da un lato all'altro. 

Ora, mentre con tanta evidenza Clarinetto descriveva la scena, sembrò agli animali di ricordare anche questo. A ogni modo ricordavano che al momento critico della battaglia Palla di Neve si era messo a fuggire. Ma Gondrano non era ancora tranquillo. 

«Io non credo che da principio Palla di Neve fosse un traditore» disse infine. «Quello che ha fatto dopo è tutt'altra cosa, ma credo che alla Battaglia del Chiuso delle Vacche egli fosse un buon compagno.» 

«Il nostro Capo, il compagno Napoleon» annunciò Clarinetto parlando molto lentamente e con grande fermezza «ha categoricamente constatato - categoricamente, compagno - che Palla di Neve è stato fin da principio l'agente di Jones, sì, e assai prima che neppur si pensasse alla Rivoluzione.» 

«Ah, allora la cosa è diversa!» disse Gondrano. «Se il compagno Napoleon lo dice, deve avere ragione.» 

«Questo è il vero spirito, compagno!» gridò Clarinetto, ma fu osservato che lanciò a Gondrano uno sguardo cattivo coi suoi occhietti scintillanti Si volse per andare, poi si arrestò e aggiunse in tono solenne: «Avverto tutti gli animali di questa fattoria di tener gli occhi bene aperti, perché abbiamo ragione di credere che qualche agente segreto di Palla di Neve si aggiri fra noi in questo momento». 

Quattro giorni dopo, nel tardo pomeriggio, Napoleon ordinò a tutti gli animali di radunarsi nel cortile. Come furono tutti riuniti, Napoleon uscì dalla casa colonica con tutte le sue decorazioni (perché da poco si era assegnato "'Eroe Animale di Prima Classe' e l'"Eroe Animale di Seconda

Classe") e coi suoi nove enormi cani che gli saltavano attorno emettendo brontolii che mandavano brividi giù per la schiena di tutti gli animali. Tutti si accoccolarono in silenzio ai loro posti, quasi presentendo che qualcosa di terribile stava per accadere. 

Napoleon, in piedi, girò lo sguardo austero sull'uditorio, poi lanciò un altissimo grido. Immediatamente i cani si lanciarono avanti, afferrando per le orecchie quattro maiali e li trascinarono, urlanti di terrore e di dolore, ai piedi di Napoleon. Le orecchie dei maiali sanguinavano, i cani avevano sentito il sapore del sangue e sembravano impazziti. Con stupore di tutti, tre di essi si slanciarono su Gondrano. Gondrano li vide venire e, sollevato il suo gran zoccolo, ne colse uno a mezz'aria e lo inchiodò al suolo. Il cane guaiva pietosamente e gli altri due fuggirono con la coda fra le gambe. Gondrano guardò Napoleon per sapere se doveva schiacciarlo a morte o lasciarlo andare. Napoleon sembrò mutar contegno, e rudemente ordinò a Gondrano di lasciar libero il cane, al che Gondrano sollevò lo zoccolo e il cane fuggì via, ammaccato e gemente. 

Il tumulto si sedò. I quattro maiali aspettavano tremanti con la colpa scritta su ogni tratto del loro aspetto. Napoleon li invitò a confessare i loro delitti. Erano i quattro maiali che avevano protestato quando Napoleon aveva abolito il Consiglio domenicale. Senza alcun altro incidente confessarono di essere stati segretamente in rapporto con Palla di Neve dal giorno della sua espulsione, di aver collaborato con lui alla distruzione del mulino e di essersi con lui accordati per consegnare la Fattoria degli Animali al signor Frederick. Aggiunsero che Palla di Neve aveva loro confidato di esser stato da anni l'agente segreto di Jones. Quando ebbero finito la confessione, subito i cani saltarono loro alla gola sgozzandoli, e con voce terribile Napoleon domandò se qualche altro animale avesse qualcosa da confessare. 

Le tre galline che avevano capeggiato il tentativo di ribellione riguardo alle uova si fecero avanti e dissero che Palla di Neve era apparso loro in sogno e le aveva incitate a disobbedire agli ordini di Napoleon. Anch'esse vennero giustiziate. Poi si avanzò un'oca e confessò di aver messo da parte sei pannocchie di granturco durante la mietitura dell'anno precedente e di averle mangiate nella notte. Indi una pecora confessò di aver orinato nell'abbeveratoio, spinta a questo, disse, da Palla di Neve, e due pecore si accusarono di aver ucciso un vecchio ariete, fedele seguace di Napoleon, inseguendolo intorno a un gran falò mentre era in preda a un forte accesso di tosse. Tutti furono giustiziati sul posto. E così continuò la storia delle confessioni e delle esecuzioni, finché un mucchio di cadaveri giacque ai piedi di Napoleon e l'aria fu greve di quell'odore di sangue che nessuno aveva più sentito dal giorno in cui Jones era stato espulso. 

Quando tutto fu finito, i rimanenti animali, eccetto i maiali e i cani, uscirono assieme lentamente. Erano tremanti e miseri. Non sapevano che cosa maggiormente li avesse colpiti, se il tradimento di quelli che avevano fatto legame con Palla di Neve o la crudele punizione alla quale avevano assistito. Negli antichi tempi c'erano state spesso scene di sangue ugualmente terribili, ma sembrava loro che assai più crudele fosse la cosa ora che accadeva fra loro stessi. Da quando Jones aveva lasciato la fattoria, nessun animale aveva ucciso un altro animale. Neppure un topo era stato ucciso. Si avviarono lentamente verso la collinetta ove sorgeva il mulino a metà ricostruito e, come per comune intesa, si sdraiarono tutti stretti assieme, quasi a riscaldarsi: Berta, Muriel, Benjamin, le mucche, le pecore e tutto il branco delle oche e delle galline; tutti meno il gatto che era sparito proprio un momento prima che Napoleon ordinasse l'adunata degli animali. Per qualche tempo nessuno parlò. Solo Gondrano rimaneva in piedi. Inquieto, andava avanti e indietro, scuotendo la lunga coda nera ed emettendo ogni tanto un nitrito di stupore. Infine disse: 

«Non capisco. Non avrei mai creduto che simili cose dovessero accadere nella nostra fattoria. La causa dev'essere in qualche nostro errore. La soluzione, come io la vedo, sta nel lavorare di più. D'ora innanzi mi alzerò al mattino un'ora prima.» E si mosse, col suo trotto pesante, in direzione della cava. Là giunto, raccolse due carichi di pietre e li portò al mulino prima di ritirarsi per la notte. Gli animali si strinsero in silenzio intorno a Berta. Dalla collinetta ove giacevano vedevano l'ampia distesa della campagna, abbracciavano con lo sguardo quasi tutta la Fattoria degli Animali, coi lunghi pascoli che si stendevano fino alla strada maestra, i campi di fieno, i boschetti gli stagni per abbeverarsi, i campi arati dove il nuovo grano cresceva folto e verde, e i tetti rossi delle case coloniche col fumo che a volute usciva dai camini. Era una serata limpida di primavera. L'erba e le siepi cariche di gemme erano dorate dai raggi del sole al tramonto. Mai la fattoria - e con una specie di sorpresa ricordarono che era la loro fattoria, che ogni palmo era loro proprietà - era parsa agli animali più desiderabile. Berta abbassò lo sguardo al pendio della collina e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Se avesse potuto esprimere il suo pensiero, avrebbe detto che non era questo ciò a cui miravano quando un anno prima, si erano posti all'opera per la distruzione della razza umana. Non a quelle scene di terrore e di morte avevano mirato in quella notte in cui il Vecchio Maggiore li aveva per la prima volta incitati alla Rivoluzione. Se mai Berta aveva avuto un'immagine del futuro, questa era stata di una società di animali liberati dalla fame e dalla frusta, tutti uguali, ognuno lavorando secondo la propria capacità, il forte proteggendo il debole come essa aveva protetto con le sue zampe anteriori la sperduta covata degli anatroccoli la notte del discorso del Vecchio maggiore. Invece - non sapeva perché - era venuto un tempo in cui nessuno osava esprimere il proprio pensiero, in cui cani feroci e ringhiosi si aggiravano dappertutto, in cui si doveva assistere al massacro dei propri compagni dopo che questi avevano confessato orribili delitti. Non vi era nella sua mente pensiero di ribellione o di disobbedienza. Essa sapeva che anche così come stavano le cose la loro condizione era assai migliore che non ai tempi di Jones e che soprattutto bisognava impedire il ritorno dell'Uomo. Qualunque cosa accadesse, essa sarebbe rimasta fedele, avrebbe lavorato duramente, avrebbe eseguito gli ordini che le fossero stati dati e accettato il comando di Napoleon. Pure, non per questo, insieme con tutti gli altri animali, aveva sperato e faticato. Non per questo aveva costruito il mulino e affrontato le pallottole del fucile di Jones. Tali erano i suoi pensieri, benché le mancassero le parole per esprimerli. Infine, sentendo che in qualche modo avrebbe potuto così sostituire le parole che era incapace di trovare, cominciò a cantare Animali d'Inghilterra. Gli altri che le sedevano attorno 1a seguirono e fecero coro con lei per ben tre volte consecutive, in perfetto unisono, ma lentamente e tristemente, come mai prima avevano cantato. 

Avevano appena finito di cantare per la terza volta quando Clarinetto, accompagnato da due cani, si avvicinò con l'aria di avere qualcosa di importante da dire e annunciò che, per speciale decreto di Napoleon, Animali d'Inghilterra era stato abolito. Da quel momento era vietato cantarlo. 

Gli animali furono colti di sorpresa. 

«Perché?» domandò Muriel. «Non ce n'è più bisogno, compagni» disse seccamente Clarinetto. «Animali d'Inghilterra era il canto della Rivoluzione, ma la Rivoluzione è ora finita. L'esecuzione dei traditori avvenuta oggi ne è l'atto finale. I nemici esterni e interni sono stati debellati. In Animali d'Inghilterra noi esprimiamo la nostra speranza di una società migliore in giorni futuri. Ma questa società è ora stabilita. Evidentemente questo canto non ha più ragione di essere.» 

Pur spaventati com'erano qualcuno avrebbe forse protestato; ma in quell'istante le pecore cominciarono il loro solito belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo» che continuò per diversi minuti e pose fine alla discussione. 

Così Animali d'Inghilterra non si udì più. In sua vece Minimus, il poeta, aveva composto un altro inno che cominciava: 

Fattoria, Fattoria degli Animali, giammai per me tu abbia a patir mali! 

e questo venne cantato ogni domenica dopo l'alzabandiera. Ma né le parole né l'aria parvero agli animali toccare l'altezza di Animali d'Inghilterra. 

 

Capitolo VIII

 

Qualche giorno più tardi, calmato alquanto il terrore causato dalle esecuzioni, alcuni animali ricordarono - o credettero di ricordare - che il sesto comandamento decretava: "Nessun animale ucciderà un altro animale". E, benché nessuno di loro tenesse a farsi udire dai porci o dai cani, sentivano che le uccisioni che avevano avuto luogo non quadravano precisamente con questo. Berta chiese a Benjamin di leggerle il sesto comandamento, e quando Benjamin come al solito disse che si rifiutava di mischiarsi in quelle faccende, andò a cercare Muriel. Muriel le lesse il comandamento. Diceva: "Nessun animale ucciderà un altro animale senza motivo". In un modo o in un altro le ultime due parole si erano cancellate dalla memoria degli animali. Ma constatarono ora che il sesto comandamento non era stato violato, é era evidente il motivo di uccidere i traditori che avevano fatto legame con Palla di Neve. 

Durante tutto quell'anno gli animali lavorarono ancor più duramente di quanto avessero fatto in quello trascorso. Ricostruire il mulino, con muri due volte più spessi di prima e finirlo per la data fissata, oltre che svolgere tutto il regolare lavoro della fattoria, era una fatica tremenda Sembrava agli animali talvolta che le ore di lavoro fossero aumentate e il nutrimento diminuito rispetto ai tempi di Jones. Nelle mattine della domenica, Clarinetto, tenendo spiegata fra le zampe una lunga striscia di carta, leggeva loro una lista di cifre che provava come la produzione di ogni genere di cibarie fosse cresciuta del 200 per cento, del 300 per cento o del 500 per cento a seconda dei casi. Gli animali non vedevano ragione per non crederci, specialmente perché non riuscivano a ricordare chiaramente quali fossero le loro condizioni prima della Rivoluzione. A ogni modo vi erano giorni nei quali avrebbero desiderato meno cifre e più cibo. 

Tutti gli ordini erano ora trasmessi a mezzo di Clarinetto o di qualche altro maiale. Napoleon non si mostrava in pubblico più di una volta ogni quindici giorni. Quando appariva era scortato non solo dalla sua muta di cani, ma era preceduto da un gallo nero che faceva la parte di trombettiere, emettendo altissimi chicchirichì prima che Napoleon cominciasse a parlare. Si diceva che persino nella casa colonica Napoleon occupasse un appartamento separato dagli altri. Prendeva solo i suoi pasti con due cani che avevano cura di lui e usava il servizio da tavola Crown Derby che era sempre stato nella cristalliera del salotto. Fu anche annunciato che ogni anno, nel giorno genetliaco di Napoleon, sarebbe stato sparato il fucile come nelle altre due ricorrenze. Ora non si parlava mai di Napoleon semplicemente come "Napoleon"; alludendo a lui, si ricorreva sempre allo stile di cerimonia dicendo: "Il nostro Capo, il compagno Napoleon", e i maiali amavano inventare per lui titoli come il Padre di Tutti gli Animali, Terrore del Genere Umano, Protettore dei Greggi, Amico degli Anatroccoli e simili. Nei suoi discorsi Clarinetto parlava, con gli occhi pieni di lacrime, della saggezza di Napoleon, della bontà del suo cuore, del suo profondo amore per tutti gli animali della terra, anche e specialmente per tutti gli infelici animali che vivevano ancora nell'ignoranza e nella schiavitù nelle altre fattorie. Era divenuto costume dar credito a Napoleon per ogni successo raggiunto e per ogni colpo di buona fortuna. Si udiva spesso una gallina dire a un'altra: «Sotto la guida del nostro Capo, il compagno Napoleon, ho fatto cinque uova in sei giorni», o due mucche esclamare mentre si abbeveravano allo stagno: «Grazie alla supremazia del compagno Napoleon, che buon sapore ha quest'acqua!». Il sentimento generale della fattoria fu ben espresso in una poesia intitolata Camerata Napoleon, composta da Minimus e che diceva così: 

Padre degli orfani!

Fonte di gioia! 

Signor delle cibarie! Oh, qual consolazion prova l'alma mia grata quando trepida guata 

l'occhio tuo calmo e fiero, come il sole nel cielo, o camerata Napoleon! 

Si, tu sei prodigo d'ogni delizia: pancia piena ogni giorno e strame a profusion; ogni bestia creata se la dorme beata é tutto tu concedi 

e a tutto tu provvedi, o camerata Napoleon! 

Se mai avrò cucciolo, alto una spanna, 

prima ancor che raggiunga l'età della ragion 

tutta già ti avrà data sua fede intemerata, e il suo primo vagito sarà fervido invito: "O camerata Napoleon!". 

Napoleon approvò questa poesia che venne trascritta sul muro del grande granaio, sulla parete opposta a quella dei Sette Comandamenti, sormontata da un ritratto di profilo di Napoleon, eseguito da Clarinetto con pittura bianca. 

Frattanto, con la mediazione di Whymper, Napoleon era occupato in complicate trattative con Frederick e Pilkington. La partita di tronchi d'albero giaceva ancora invenduta. Dei due, Frederick era il più desideroso di averla, ma non voleva offrire un prezzo ragionevole. Nello stesso tempo tornavano a circolare insistenti voci che Frederick e i suoi uomini stessero preparando un attacco alla Fattoria degli Animali per distruggere il mulino, la costruzione che aveva suscitato in lui tanta feroce gelosia. Si sapeva che Palla di Neve era sempre nascosto nella Fattoria Pinchfield. A mezza estate gli animali furono allarmati nell'udire che tre galline si erano fatte avanti e avevano confessato che, ispirate da Palla di Neve, erano entrate a far parte di un complotto al fine di uccidere Napoleon. Furono immediatamente giustiziate e nuove precauzioni vennero prese per la sicurezza del Capo. Quattro cani custodivano il suo letto durante la notte, uno per angolo, e un giovane porco, chiamato Occhiodirosa, aveva il compito di assaggiare tutti i suoi cibi prima ch'egli li mangiasse, per timore che fossero avvelenati. 

Circa in quel medesimo tempo fu reso pubblico che Napoleon aveva concluso col signor Pilkington il contratto di vendita dei tronchi d'albero e stava pure entrando in regolari accordi per lo scambio di certi prodotti tra la Fattoria degli Animali e Foxwood. Le relazioni tra Napoleon e Pilkington, benché sempre per mediazione di Whymper, erano ora quasi amichevoli. Gli animali diffidavano di Pilkington, in quanto essere umano, ma lo preferivano grandemente a Frederick che temevano e odiavano. Sul finire dell'estate, quando la costruzione del mulino era quasi ultimata, le voci di un imminente, proditorio attacco si fecero sempre più insistenti. Frederick, si diceva, sarebbe venuto alla carica con venti uomini, tutti armati di fucile, e già aveva corrotto i magistrati e la polizia, in modo che, se fosse riuscito a impadronirsi dei documenti della Fattoria degli Animali, essi non gliene avrebbero chiesto ragione. Inoltre si sussurravano storie terribili delle crudeltà che Frederick praticava sugli animali. Aveva frustato a morte un vecchio cavallo, fatto morire di fame le sue mucche, ucciso un cane gettandolo nella fornace, si divertiva la sera a far combattere i galli con schegge di lame di rasoio legate agli speroni. Gli animali sentivano il sangue ribollire d'ira nel sentire che cosa veniva fatto ai loro compagni, e talvolta invocavano di essere lasciati uscire in massa per attaccare la fattoria Pinchfield, scacciarne gli uomini e liberare gli animali. Ma Clarinetto li consigliava di evitare ogni violenza e di confidare nella strategia del compagno Napoleon. 

Tuttavia, il risentimento verso Frederick si manteneva vivissimo. Una domenica mattina Napoleon apparve nel granaio e spiegò che mai aveva pensato di vendere i tronchi a Frederick; riteneva al disotto della sua dignità, diceva, trattare con bricconi di quella specie. I piccioni che sempre erano spediti fuori a spargere il verbo della Rivoluzione, avevano il divieto di porre piede a Foxwood e avevano pure l'ordine di mutare il loro motto "Morte all'Umanità" in quello di "Morte a Frederick". Sul finire dell'estate venne in luce un'altra macchinazione di Palla di Neve. I campi di grano erano pieni di gramigna e si scoprì che, in una delle sue scorribande notturne, Palla di Neve aveva mescolato seme di gramigna al seme di frumento. Un papero, che era stato complice del complotto, aveva confessato, e si era poi subito ucciso inghiottendo nere bacche velenose. Gli animali appresero pure che Palla di Neve non aveva mai - come molti di loro avevano fin lì creduto ricevuto l'ordine dell'"Eroe Animale di Prima Classe". Era questa una pura leggenda che, qualche tempo dopo la Battaglia del Chiuso delle Vacche, lo stesso Palla di Neve aveva sparso. Lungi dall'essere decorato, era stato censurato per essersi mostrato vile in battaglia. Ancora una volta gli animali udirono queste, con un certo stupore; ma Clarinetto riuscì presto, a convincerli che la memoria li tradiva. In autunno, con uno sforzo tremendo ed estenuante - perché la mietitura doveva venir compiuta quasi nel medesimo tempo - il mulino fu finito. Doveva ancora venire installato il macchinario, e Whymper ne stava trattando l'acquisto, ma la struttura era completa. Ad onta di ogni difficoltà, nonostante l'inesperienza, i mezzi primitivi, la sfortuna e il tradimento di Palla di Neve, il lavoro era stato finito puntualmente nel giorno fissato! Stanchi, ma fieri, gli animali facevano il giro del loro capolavoro che appariva ai loro occhi più bello di quanto non lo fosse stato la prima volta. Nulla, fuorché un'esplosione, avrebbe potuto abbatterlo ora! E quando pensavano a tutto il lavoro che avevano fatto, agli scoraggiamenti che avevano dovuto superare, a quanto diversa sarebbe stata la loro vita quando le pale avessero girato e la dinamo funzionato, quando pensavano a tutto questo la stanchezza li abbandonava ed essi correvano saltando intorno al mulino e gettando grida di trionfo. Lo stesso Napoleon, scortato dai suoi cani e dal gallo, venne a ispezionare l'opera finita; personalmente si congratulò con gli animali per il loro successo e annunciò che il mulino sarebbe stato chiamato "Mulino Napoleon".

Due giorni dopo gli animali furono chiamati per uno speciale raduno nel granaio. Ammutolirono per la sorpresa quando Napoleon annunciò loro di aver venduto la partita di tronchi a d'albero a Frederick. L'indomani sarebbero venuti i carri di Frederick a ritirarli. Durante tutto il periodo della sua simulata amicizia per Pilkington, Napoleon era stato in realtà in segrete trattative con Frederick.

Tutte le relazioni con Foxwood erano state rotte; furono inviati a Pilkington messaggi insultanti. I piccioni avevano avuto ordine di evitare la fattoria Pinchfield e di mutare il loro detto "Morte a Frederick" in quello di "Morte a Pilkington". Nello stesso tempo Napoleon assicurava gli animali che la storia dell'imminente attacco alla loro fattoria era del tutto falsa e che il racconto delle crudeltà di Frederick verso i propri animali era stato grandemente esagerato. Tutte queste voci erano probabilmente state messe in giro da Palla di Neve e dai suoi agenti. Era ora evidente che, dopo tutto, Palla di Neve non era nascosto nella Fattoria Pinchfield e, infatti, non vi era mai stato in vita sua: viveva - e abbastanza lussuosamente, si diceva - a Foxwood e, in realtà, era stato a pensione da Pilkington durante gli anni precedenti. 

I maiali si estasiavano alla furberia di Napoleon. Fingendo amicizia per Pilkington, aveva obbligato Frederick ad alzare il prezzo a dodici sterline. Ma la mente superiore di Napoleon, disse Clarinetto, si rivelava nel fatto che egli non si era fidato di nessuno, neppure di Frederick. Frederick voleva pagare i tronchi con qualcosa chiamato "chèque", che pareva essere un pezzo di carta con sopra scritta la promessa di pagare. Ma Napoleon era troppo intelligente per lasciarsi imbrogliare in simile maniera. Egli aveva chiesto il pagamento in veri biglietti da cinque sterline che dovevano essere consegnati prima che i tronchi fossero mossi. Frederick aveva già pagato; e la somma versata bastava appunto all'acquisto del macchinario per il mulino. 

Frattanto i tronchi erano stati caricati e portati via in gran fretta. Usciti che furono i carri, gli animali furono chiamati a riunione nel granaio perché vedessero le banconote di Frederick. Sorridendo beatamente, decorato delle sue due medaglie, Napoleon riposava su un letto di paglia, con accanto il denaro elegantemente deposto su un piatto di porcellana proveniente dalla cucina della casa colonica. Gli animali sfilarono lentamente, ognuno ammirando a suo agio. E Gondrano allungò il naso per odorare le banconote, e i bianchi biglietti di banca fremettero e frusciarono al suo alito. 

Tre giorni dopo successe un diavolio. Whymper, mortalmente pallido, giunse correndo sulla sua bicicletta, la lanciò a terra nel cortile e si precipitò nella casa colonica. Un istante dopo un soffocato grugnito di rabbia risuonò dagli appartamenti di Napoleon. La notizia corse per la fattoria con la rapidità di un incendio: le banconote erano false! Frederick aveva acquistato i tronchi per niente! 

Napoleon chiamò immediatamente gli animali a raccolta e con voce terribile pronunciò sentenza di morte su Frederick. Una volta catturato, disse, Frederick sarebbe stato lessato vivo. Nello stesso tempo avvisò che dopo questo tradimento c'era da aspettarsi il peggio. Frederick e i suoi uomini potevano sferrare ad ogni momento il loro attacco da lungo tempo atteso. Furono poste sentinelle in tutti i punti di accesso alla fattoria. Inoltre furono inviati quattro piccioni a Foxwood con messaggi amichevoli che si sperava potessero ristabilire buone relazioni con Pilkington. L'attacco venne proprio la mattina seguente. Gli animali stavano facendo la loro prima colazione quando le sentinelle giunsero correndo con la notizia che Frederick e i suoi seguaci avevano già varcato il grande cancello. Con sufficiente baldanza, gli animali si slanciarono loro incontro; ma questa volta non ebbero la facile vittoria ottenuta nella Battaglia del Chiuso delle Vacche. Vi erano quindici uomini, con una mezza dozzina di fucili fra tutti, e, alla distanza di cinquanta iarde, aprirono il fuoco. Gli animali non poterono sostenere i terribili scoppi e le laceranti pallottole e, nonostante gli sforzi di Napoleon e di Gondrano per mantenere l'ordine, furono presto respinti. Molti fra essi erano già feriti. Si rifugiarono nei fabbricati della fattoria e lì spiarono cautamente dalle fessure e dai fori. Tutto il grande pascolo, compreso il mulino, era in mano al nemico. Napoleon non sapeva che decisione prendere. Camminava su e giù senza dir parola; la coda si agitava, rigida. Sguardi ardenti di desiderio andavano in direzione di Foxwood. Se Pilkington e i suoi uomini fossero venuti in loro aiuto, la giornata poteva finire vittoriosa. Ma in quel momento i quattro piccioni mandati prima in missione fecero ritorno, e uno di essi portava un biglietto di Pilkington. Vi era scritto: "Ben vi sta".

Intanto Frederick e i suoi uomini si erano fermati presso il mulino. Gli animali li osservavano e un mormorio di costernazione corse tutto all'intorno. Due uomini avevano portato una barra di ferro e un grosso martello. Stavano per demolire il mulino. 

«Impossibile!» gridò Napoleon. «Abbiamo costruito muri troppo spessi é possano farlo. Non lo potrebbero abbattere in una settimana. Coraggio, compagni!»

Ma Benjamin stava osservando attentamente i movimenti degli uomini. I due, col martello e la barra, stavano scavando un foro presso la base del mulino. 

Lentamente, e quasi con l'aria di divertirsi, Benjamin tentennò il suo lungo muso. 

«Lo pensavo» disse. «Non vedete che cosa stanno facendo? Fra poco riempiranno il foro di polvere esplosiva.» 

Atterriti, gli animali attesero. Era impossibile ora avventurarsi fuori dal rifugio. Dopo qualche istante, si videro gli uomini correre in tutte le direzioni. Poi vi fu un rombo assordante. I piccioni rotearono nell'aria, e tutti gli animali, salvo Napoleon, si gettarono ventre a terra e nascosero il muso. Quando si rialzarono, una enorme nube di fumo nero ondeggiava sospesa dov'era stato il mulino. Lentamente la brezza la dissipò. Il mulino aveva cessato di esistere! 

A quella vista il coraggio rinacque negli animali. La paura e la disperazione che avevano sentito un momento prima furono sommerse dall'ira contro questo atto vile e spregevole. Si levò un possente grido di vendetta e, senza aspettare ordini, caricarono in massa, lanciandosi sul nemico. Questa volta non si curavano delle palle crudeli che grandinavano su di loro una battaglia selvaggia e feroce. Gli uomini sparavano senza tregua, e quando gli animali si dicevano troppo sotto, li pestavano coi bastoni e con i pesanti stivali. Una mucca, tre pecore e due oche erano cadute uccise; quasi tutti erano feriti. Anche Napoleon, che dalle retrovie dirigeva le operazioni, aveva avuto la punta della coda mozzata da una palla. Ma anche gli uomini non ne uscirono immuni. Tre di essi avevano la testa rotta da colpi di zoccolo di Gondrano; un altro aveva il ventre forato dal corno di una mucca; un altro ancora aveva i calzoni a brandelli per opera di Jessie e di Lilla. E quando i nove cani della guardia del corpo di Napoleon, ai quali questi aveva dato istruzione di avanzare nascostamente sotto la protezione delle siepi, fecero irruzione al fianco degli uomini, latrando ferocemente, il panico li sopraffece. Videro il pericolo di essere circondati. Frederick gridò ai suoi di fuggire mentre erano ancora in tempo, e l'istante dopo il codardo nemico correva per aver salva la vita. Gli animali li inseguirono fino al limite del campo e riuscirono a somministrar loro qualche calcio ancora mentre forzavano il passaggio attraverso la siepe spinosa. 

Avevano vinto, ma erano spossati e sanguinanti. Lentamente si avviarono zoppicando verso la fattoria. La vista dei compagni morti, stesi sull'erba, mosse alcuni alle lacrime. E per qualche istante sostarono in doloroso silenzio là dove una volta sorgeva il mulino. Sì, non c'era più; fin quasi l'ultimo segno della loro fatica era sparito! Perfino le fondamenta erano in parte distrutte. E per rifabbricarlo non si poteva questa volta, come prima, far uso delle pietre crollate. Questa volta anche le pietre erano svanite. La forza dell'esplosione le aveva lanciate a centinaia di iarde di distanza. Era come se il mulino non fosse mai esistito. 

Mentre si avvicinavano alla fattoria, Clarinetto, che in modo inesplicabile era stato assente durante il combattimento, venne loro incontro: saltellando, dimenando la coda, raggiante di soddisfazione. E gli animali udirono in direzione dei fabbricati della fattoria il solenne rombo, del fucile. 

«Perché si spara il fucile?» domandò Gondrano. 

«Per celebrare la vittoria!» gridò Clarinetto. 

«Quale vittoria?» insistette Gondrano. 

Le sue ginocchia sanguinavano, aveva perduto un ferro, si era spaccato uno zoccolo e una dozzina di pallottole gli si erano conficcate nelle gambe posteriori. 

«Quale vittoria, compagno? Non abbiamo scacciato il nemico dal nostro suolo, il sacro suolo della Fattoria degli Animali?» 

«Ma loro ci hanno distrutto il mulino. E vi avevamo lavorato due anni!» 

«Che importa? Costruiremo un altro mulino! Costruiremo sei mulini, se ne avremo voglia. Non apprezzate, compagni, le magnifiche gesta che abbiamo compiuto? Il nemico occupava questo terreno su cui ora siamo. E adesso - grazie alla guida del compagno Napoleon - ne abbiamo riconquistato ogni palmo.» 

«Allora abbiamo conquistato quello che avevamo prima» disse Gondrano. 

«Questa è la nostra vittoria» replicò Clarinetto. Zoppicando entrarono nel cortile. Le pallottole sotto la pelle della gamba di Gondrano provocavano un acuto dolore. Egli vide davanti a sé la dura fatica di ricostruire il mulino dalle fondamenta, e già con l'immaginazione tendeva le sue forze all'opera. Ma per la prima volta gli venne in mente che aveva undici anni e che forse i suoi potenti muscoli non erano più quelli che erano stati un tempo. 

Quando però gli animali videro sventolare la bandiera verde e sentirono ancora il rombo del fucile sette colpi vennero sparati - e udirono il discorso di Napoleon che si congratulava della loro condotta, sembrò loro di aver conseguito, dopo tutto, una grande vittoria. Agli animali caduti in battaglia furono resi solenni funerali. Gondrano e Berta tiravano il carro che serviva da carro funebre, e Napoleon stesso camminava in testa alla processione. Due interi giorni furono dedicati alla celebrazione. Vi furono canti, discorsi e altri spari del fucile, e, quale dono particolare, ogni animale ricevette una mela, ogni uccello un'oncia di grano e ai cani vennero dati tre biscotti per ciascuno. Fu annunciato che la battaglia sarebbe stata chiamata "la Battaglia del Mulino" e che Napoleon aveva creato una nuova decorazione, l'"Ordine della Bandiera Verde", che aveva conferito a se stesso. Nella generale allegrezza lo sfortunato affare delle banconote venne dimenticato. 

Qualche giorno dopo questi avvenimenti, i maiali rinvennero nella cantina della casa colonica una cassa di whisky che era sfuggita quando la casa era stata occupata. Quella notte si udirono dall'edificio principale alti canti fra i quali, con grande sorpresa di tutti, erano pure intercalate le strofe di Animali d'Inghilterra. Verso le nove e mezzo Napoleon, con in testa un vecchio cappello di feltro del signor Jones, fu visto distintamente precipitarsi fuori dalla porta posteriore, fare un giro al galoppo attorno alla corte e sparire ancora nell'interno. Ma, al mattino, un profondo silenzio regnava nella casa colonica. Non si sentiva muovere un maiale. Erano quasi le nove quando Clarinetto comparve, camminando lentamente e stancamente, l'occhio spento, la coda fra le gambe, e con tutta l'apparenza di essere seriamente ammalato. Chiamò gli animali a raccolta e disse loro che aveva una terribile notizia da comunicare: il compagno Napoleon era morente! 

Si alzò un grido di dolore. Fu distesa della paglia fuori dalla porta della casa colonica e gli animali vi camminavano sopra in punta di piedi. Con le lacrime agli occhi si chiedevano l'un l'altro che cosa avrebbero fatto se il loro Capo fosse stato loro rapito. Corse voce che Palla di Neve era riuscito a mettere del veleno nei cibi di Napoleon. Alle undici Clarinetto uscì per dare un altro annuncio. Come suo ultimo atto sulla terra il compagno Napoleon aveva promulgato un solenne decreto: chi beveva alcolici doveva essere punito con la morte. 

Alla sera, tuttavia, Napoleon parve stare un po' meglio e al mattino seguente poté comunicare agli animali che stava bene ed era in via di guarigione. La sera dello stesso giorno Napoleon era tornato al lavoro e l'indomani si apprese che aveva dato istruzioni a Whymper per l'acquisto a Willingdon di alcuni opuscoli sul modo di fabbricare la birra e di distillare. Una settimana più tardi Napoleon diede ordine che il piccolo recinto oltre il frutteto, che era prima destinato a pascolo per gli animali che l'età aveva reso inabili al lavoro, fosse arato. Fu detto che il pascolo era esausto e aveva bisogno di nuova semina, ma si seppe ben presto che Napoleon intendeva coltivarlo a orzo. 

Circa a quell'epoca avvenne uno strano incidente che quasi nessuno riuscì a capire. Una notte, verso la mezza, si udì nel cortile un gran frastuono e gli animali si affrettarono fuori dalle loro stalle. Era

una notte di luna. Ai piedi del muro in fondo al grande granaio dov'erano scritti i Sette Comandamenti giaceva una scala a pioli rotta in due pezzi. 

Clarinetto, tutto stordito, si contorceva accanto ad essa e, a portata di mano, erano una lanterna, un pennello e un barattolo di pittura bianca rovesciato. Subito i cani fecero circolo attorno a Clarinetto e lo scortarono alla casa colonica non appena fu in grado di camminare. Nessuno degli animali poté farsi un'idea di quello che ciò significasse, meno il vecchio Benjamin che scosse il muso con aria di saperla lunga, e sembrò capire, sebbene non dicesse nulla. 

Ma alcuni giorni dopo Muriel leggendo per proprio conto i Sette Comandamenti, notò che ve n'era ancora uno che gli animali non ricordavano esattamente.

Avevano sempre creduto che il quinto comandamento dicesse "Nessun animale berrà alcolici". Ma vi erano due parole che essi avevano dimenticato. In realtà il comandamento diceva: "Nessun animale berrà alcolici in eccesso".

 

Capitolo IX 

 

La spaccatura allo zoccolo di Gondrano fu lunga a guarire. Avevano cominciato a riedificare il mulino il giorno seguente alla chiusura delle celebrazioni della vittoria. Gondrano rifiutò di prendersi sia pure un giorno di riposo e si fece un punto d'onore di non far scorgere la sua sofferenza. La sera diceva in confidenza a Berta che lo zoccolo gli dava molto fastidio. Berta curava la ferita con impiastri di erbe che essa preparava masticando, e tanto lei quanto Benjamin esortavano Gondrano a lavorar meno. «I polmoni di un cavallo non sono eterni» gli diceva Berta. Ma Gondrano non dava ascolto. Aveva ancora un'unica ambizione, diceva: vedere il mulino a buon punto prima di raggiungere i limiti d'età. 

Da principio, quando le leggi della Fattoria degli Animali erano state formulate, i limiti d'età per i cavalli e i maiali erano stati fissati a dodici anni, quattordici per le mucche, nove per i cani, sette per le pecore e cinque per le galline e le oche. Si erano pure approvate larghe pensioni per la vecchiaia. 

Nessun animale era fin allora andato in pensione, ma negli ultimi tempi l'argomento era stato ancora assai discusso. Ora che il piccolo campo oltre il frutteto era stato messo a orzo, si diceva che un angolo del grande pascolo sarebbe stato chiuso da un recinto e destinato agli animali anziani. Per un cavallo, si diceva, la pensione sarebbe stata di cinque libbre di grano al giorno, e, in inverno, di quindici libbre di fieno con una carota o, forse, una mela nei giorni di festa pubblica. I dodici anni di Gondrano cadevano alla fine dell'estate dell'anno seguente. 

Intanto la vita era dura. L'inverno era rigido quanto lo era stato quello precedente, e i viveri erano anche più scarsi. Ancora una volta vennero ridotte tutte le razioni, eccetto quelle dei maiali e dei cani. Una eguaglianza di razioni troppo rigida, spiegava Clarinetto, sarebbe stata contraria ai principi dell'Animalismo. In ogni caso egli non aveva difficoltà a dimostrare agli altri animali che, nonostante l'apparenza, in realtà essi non soffrivano di scarsità di cibo. Per il momento, certo, s'era trovato necessario venire a un nuovo razionamento (Clarinetto parlava sempre di "razionamento", mai di "riduzione"), ma in confronto ai tempi di Jones si stava enormemente meglio. Leggendo le cifre con voce rapida e acuta, dimostrava loro minutamente che avevano più avena, più fieno, più rape che non ai tempi di Jones, che lavoravano un minor numero di ore, che bevevano acqua di miglior qualità, che vivevano più a lungo, che c'era un'assai minore mortalità infantile, che avevano più paglia per il loro letto e soffrivano meno per le pulci. Gli animali credevano a ogni parola. A dire il vero, Jones e tutto quanto lo riguardava era quasi del tutto scomparso dalla loro memoria. Sapevano che la loro vita presente era aspra e misera, che spesso avevano fame e freddo e che quando non dormivano erano sempre al lavoro. Ma, senza dubbio, doveva essere stato peggio nei tempi andati. Erano lieti di credere così. Inoltre, allora erano schiavi e ora erano liberi, e qui stava tutta la differenza, come Clarinetto non mancava mai di rilevare. 

Ora vi erano molte più bocche da nutrire. In autunno le quattro scrofe avevano partorito

simultaneamente, dando alla luce, fra tutte, trentun porcellini. I porcellini erano pezzati, e poiché Napoleon era l'unico verro della fattoria, era facile intuirne la paternità. Fu annunciato che in seguito, quando si fossero acquistati mattoni e legname, si sarebbe costruita una scuola nel giardino della casa colonica. Intanto i maialetti ricevevano la loro istruzione dallo stesso Napoleon nella cucina della casa. Si esercitavano in giardino, ed erano dissuasi dal giocare con gli altri giovani animali. Circa in quest'epoca fu imposta anche la regola che quando un maiale e qualunque altro animale si incontravano per via, l'altro animale doveva farsi da parte: e anche che tutti i maiali di qualsiasi grado dovevano avere il privilegio di portare la domenica un nastro verde sulla coda. La fattoria aveva avuto un'annata discreta ma vi era sempre scarsità di danaro. Bisognava comprare mattoni, sabbia, calce per la scuola e sarebbe stato necessario fare altri risparmi per l'acquisto del macchinario per il mulino. Poi occorreva olio da lampada e candele per la casa, zucchero per la mensa privata di Napoleon (lo proibiva agli altri animali perché lo zucchero li avrebbe fatti ingrassare), oltre ai soliti rifornimenti di utensili, chiodi, corda, carbone, filo di ferro, rottami di metallo e biscotti per i cani. Un covone di fieno e una parte del raccolto di patate vennero venduti e il contratto per le uova venne aumentato a seicento la settimana, così che per quell'anno le galline deposero uova in numero appena sufficiente a mantenere il livello. Le razioni, ridotte in dicembre, vennero ulteriormente ridotte in febbraio e furono vietate le lanterne nelle stalle per risparmiare olio. Ma i maiali parevano passarsela abbastanza bene e infatti ingrassavano. Un giorno, sulla fine di febbraio, un profumo caldo, squisito, appetitoso, quale gli animali non avevano mai prima sentito, si sparse per il cortile dalla piccola birreria che dal tempo di Jones era caduta in disuso e che era situata dietro la cucina. Qualcuno disse che era odore di orzo cotto. Gli animali fiutarono l'aria con espressione affamata e si chiesero se la calda mistura si stesse preparando per la loro cena. Ma non comparve alcuna calda mistura e la domenica seguente venne annunciato che l'orzo sarebbe stato riservato ai soli maiali. Il campo oltre il frutteto era già stato seminato a orzo. E presto serpeggiò la notizia che ogni maiale riceveva ora quotidianamente una pinta di birra; e Napoleon invece mezzo gallone che gli veniva servito nella zuppiera Crown Derby. 

Ma le privazioni che si dovevano sopportare erano in parte compensate dal fatto che la vita aveva ora un'assai maggior dignità di prima. Vi erano più canti, più discorsi, più parate. Napoleon aveva comandato che una volta la settimana fosse tenuta una cosiddetta "Dimostrazione Spontanea" il cui scopo era di celebrare le lotte e i trionfi della Fattoria degli Animali. All'ora stabilita, gli animali dovevano lasciare il lavoro e fare un giro a passo di marcia attorno alla fattoria in formazione militare; in testa venivano i maiali a cui seguivano i cavalli, poi le mucche, poi le pecore e ultimo il pollame. I cani fiancheggiavano lo schieramento e in testa a tutti marciava il gallo nero di Napoleon. Gondrano e Berta sorreggevano una bandiera verde con lo zoccolo, il corno e la scritta "Viva il compagno Napoleon". Seguivano declamazioni di poesie, composte in onore di Napoleon e discorsi di Clarinetto, che davano particolari sugli ultimi aumenti della produzione dei viveri, e in certe circostanze veniva sparato un colpo di fucile. Le pecore erano le più entusiaste partecipanti alle Dimostrazioni Spontanee, e se qualcuno si lamentava (come qualche animale faceva quando non vi erano vicini né maiali né cani) di perdere il proprio tempo e di stare esposto al freddo per nulla, era certo che le pecore lo riducevano al silenzio col loro tremendo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!». Ma nel complesso gli animali godevano di queste celebrazioni. Trovavano consolante che venisse loro ricordato che, dopo tutto, erano veramente padroni di se stessi e che il lavoro che facevano era a proprio beneficio. Così, coi canti, i cortei, le cifre di Clarinetto, il rombo del fucile, le note squillanti del gallo, lo sventolio della bandiera, finivano col dimenticare, almeno per qualche tempo, che il loro ventre era vuoto.

In aprile la Fattoria degli Animali venne proclamata Repubblica e fu necessario eleggere un presidente. Vi era un solo candidato, Napoleon, che fu eletto all'unanimità. Lo stesso giorno si seppe che erano stati scoperti altri documenti che svelavano nuovi particolari sulla complicità di Palla di Neve con Jones. Appariva ora che Palla di Neve non solo aveva tentato di far perdere con stratagemmi la Battaglia del Chiuso delle Vacche, come gli animali avevano fino allora creduto, ma che apertamente egli aveva combattuto a fianco di Jones. Era lui infatti che in realtà aveva

capeggiato le forze umane e caricato in battaglia al grido di «Viva l'Umanità!»; le ferite sul dorso di Palla di Neve, che ormai pochi animali ricordavano di aver visto, erano state inflitte dai denti di Napoleon. 

A mezza estate Mosè, il corvo, riapparve improvvisamente alla fattoria dopo un'assenza di parecchi anni. Non era affatto mutato, continuava a non lavorare e con lo stesso entusiasmo parlava, come sempre, del Monte Zuccherocandito. Si appollaiava su un ceppo d'albero, batteva le ali e parlava per ore a chiunque lo volesse ascoltare. «Lassù, compagni» diceva solennemente, puntando verso il cielo il suo grosso becco «lassù, proprio al di là di quella nuvola nera che vedete, là sta il Monte Zuccherocandito, quel felice paese dove i poveri animali riposano per sempre delle loro fatiche!» Pretendeva anche di esservi stato in uno dei suoi alti voli e di aver visto gli eterni campi di trifoglio e le torte di seme di lino e le zollette di zucchero che crescevano sulle siepi. Molti animali gli prestavano fede. La loro vita, ora, argomentavano, era fame e fatica: non era giusto e irragionevole che un mondo migliore dovesse esistere in qualche altro luogo? Una cosa difficile da definire era l'atteggiamento dei maiali verso Mosè. Essi dichiaravano sprezzantemente che le sue storie sul Monte Zuccherocandito, erano tutte menzogne; pure gli permettevano di rimanere nella fattoria, di non lavorare, e gli concedevano un bicchiere di birra al giorno. Quando lo zoccolo fu guarito, Gondrano riprese a lavorare più che mai. Veramente quell'anno gli animali faticavano come schiavi. Oltre l'andamento regolare della fattoria e la ricostruzione del mulino, vi era la scuola per i maialetti che fu iniziata in marzo. Talvolta, col cibo insufficiente, le lunghe ore di lavoro erano dure da sopportare. Ma Gondrano non esitò mai. In nulla che facesse o dicesse vi era segno che la sua forza non fosse qual era sempre stata. Solo il suo aspetto era un poco mutato: il suo mantello non era più così lucente e i suoi grandi fianchi sembravano essersi contratti. Gli altri dicevano: «Gondrano si rimetterà quando a primavera spunterà l'erba»; ma venne la primavera e Gondrano non ingrassò affatto. Talvolta sul pendio che conduceva in cima alla cava, quando tendeva i muscoli al peso di un gran masso, pareva che nulla lo tenesse in piedi se non la volontà di andare avanti. Allora si vedevano le sue labbra formare le parole: «Lavorerò di più»; non gli restava più voce. Ancora una volta Berta e Benjamin lo esortarono ad aver cura della sua salute, ma Gondrano non dava ascolto. Il suo dodicesimo compleanno si avvicinava. Non gli importava di qualunque cosa accadesse, purché una buona riserva di pietre fosse accumulata presso il mulino. In una tarda sera d'estate un'improvvisa voce che qualcosa era accaduto a Gondrano corse per la fattoria. Era andato da solo a trascinare un carico di pietre al mulino. E purtroppo la voce era vera. Pochi istanti dopo due piccioni vennero in rapido volo con la notizia: «Gondrano è caduto! E' sdraiato sul fianco e non riesce a rialzarsi!». 

Mezza fattoria corse all'altura ove sorgeva il mulino. Là giaceva Gondrano tra le stanghe del carro, il collo allungato, incapace persino di sollevare la testa. L'occhio era vitreo e i fianchi coperti di sudore. Un sottile filo di sangue gli colava dalla bocca. Berta gli si inginocchiò accanto. 

«Gondrano» gridò «come stai?» 

«Sono i polmoni» disse Gondrano con voce flebile. 

«Non importa. Credo che potrete finire il mulino senza di me. Vi è una buona scorta di pietre in riserva. In ogni caso, avevo solo un mese davanti a me. A dire il vero, aspettavo con grande desiderio il momento del mio ritiro. E forse, poiché anche Benjamin sta diventando vecchio, gli permetteranno di ritirarsi con me e tenermi compagnia.» 

«Bisogna cercar subito aiuto» disse Berta «Che qualcuno corra ad avvertire Clarinetto di quanto è successo.» 

Tutti gli altri animali corsero immediatamente alla casa colonica per dare a Clarinetto la notizia. Solo Berta rimase, e Benjamin, che si coricò a fianco di Gondrano e, senza parlare, gli allontanava le mosche con la lunga coda. Dopo circa un quarto d'ora Clarinetto apparve, pieno di simpatia e di sollecitudine. Egli disse che il compagno Napoleon aveva appreso col più profondo dolore la disgrazia toccata a uno dei più leali lavoratori della fattoria e che stava già combinando di mandare Gondrano in cura nell'ospedale di Willingdon. A questa notizia un senso di inquietudine invase gli animali. Salvo Mollie e Palla di Neve, nessun animale aveva mai lasciato la fattoria e il pensiero del loro compagno ammalato nelle mani di esseri umani li turbava. Ma Clarinetto presto li convinse che il chirurgo veterinario di Willingdon avrebbe potuto curare Gondrano assai meglio di quanto non era possibile fare alla fattoria. E mezz'ora dopo, quando si era un poco ripreso, Gondrano fu fatto alzare in piedi e accompagnato alla stalla ove Berta e Benjamin gli avevano preparato un buon letto di paglia. Durante i due giorni successivi Gondrano rimase nella stalla. I maiali gli avevano mandato una grande bottiglia di una medicina rosa che avevano trovato nell'armadietto farmaceutico della stanza da bagno, e Berta gliela somministrava due volte al giorno, dopo i pasti. Laser si stendeva vicino a lui e gli parlava, mentre Benjamin teneva lontane le mosche. Gondrano diceva di non essere spiacente di quanto era avvenuto. Se guariva bene poteva sperare di vivere altri tre anni e già pregustava i giorni tranquilli che avrebbe passato nell'angolo del gran pascolo. Sarebbe stata la prima volta che avrebbe avuto tempo per studiare e migliorare la propria mente. Era sua intenzione, diceva, dedicare il resto della vita a imparare le rimanenti ventidue lettere dell'alfabeto.

Tuttavia Benjamin e Berta potevano rimanere con lui solo dopo l'orario di lavoro, e fu a metà del giorno che venne il furgone a portarlo via. Gli animali erano tutti al lavoro, intenti a sarchiare le rape sotto la sorveglianza dei maiali, quando con stupore videro Benjamin venire di galoppo dalla direzione dei fabbricati ragliando con quanta voce aveva. Era la prima volta che vedevano Benjamin eccitato, la prima volta che lo vedevano galoppare. «Presto, presto!» gridava. «Venite subito! Stanno portando via Gondrano!» Senza aspettare ordini dal porco, gli animali interruppero il lavoro e si precipitarono verso i fabbricati. Nel cortile sostava un gran furgone chiuso, tirato da due cavalli un furgone con iscrizioni sui fianchi e un uomo dall'aria astuta, con in testa un berretto a visiera, seduto a cassetta. E il posto di Gondrano nella stalla era vuoto. 

Gli animali si affollarono attorno al furgone. «Addio, Gondrano!» gridarono in coro. «Addio!»

«Pazzi, pazzi!» urlò Benjamin saltando attorno a loro e battendo la terra con gli zoccoli. «Pazzi!

Non vedete che cosa c'è scritto sui fianchi del furgone?» Gli animali sostarono e vi fu un mormorio. Muriel cominciò a compitare le parole, ma Benjamin la spinse da parte e fra un silenzio mortale lesse: «"Alfred Simmons, Macelleria Equina e Fabbrica di Colla, Willingdon. Negoziante di cuoio e d'ossa. Forniture per canili". Capite ciò che significa questo? Portano Gondrano al macello!». 

Un grido d'orrore uscì dal petto di tutti gli animali. In quel momento l'uomo a cassetta frustò i suoi cavalli e il furgone uscì dal cortile a buon trotto. Tutti gli animali lo seguirono gridando a gran voce. Berta forzò l'andatura per portarsi innanzi. Il furgone acquistava velocità. Berta tentò di muovere al galoppo le sue pesanti membra. «Gondrano!» gridò. «Gondrano! Gondrano! Gondrano!» e proprio in quel momento, come se sentisse il frastuono esterno, il muso di Gondrano, con la striscia bianca che gli scendeva lungo il naso, apparve alla finestrella sul retro del furgone. 

«Gondrano!» gridò Berta con voce terribile. «Gondrano, scendi! Scendi presto! Ti portano alla morte!» Tutti gli animali raccolsero il grido: «Scendi, Gondrano, scendi!». Ma il furgone andava sempre più veloce, portandolo via con sé. Non era certo che Gondrano avesse capito ciò che aveva detto Berta. Ma poco dopo il suo muso disparve dalla finestrella e il rumore di un tremendo scalpitare si udì nell'interno del furgone. Cercava a calci una via d'uscita. C'era stato un tempo in cui pochi colpi di zoccolo di Gondrano avrebbero fatto a pezzi il furgone. Ma, ahimè!, la forza lo aveva abbandonato e in pochi istanti i colpi si fecero più deboli finché cessarono del tutto. Disperati, gli animali volsero le loro invocazioni ai due cavalli che tiravano il furgone, pregandoli di fermarsi. «Compagni, compagni!» gridavano. «Non conducete a morte vostro fratello!» Ma quegli stupidi bruti, troppo ignoranti per rendersi conto di quel che stava accadendo, non fecero che scuotere le orecchie e accelerare il passo. Troppo tardi venne a qualcuno il pensiero di correre avanti e chiudere il grande cancello; un istante dopo il furgone lo varcava e rapidamente spariva sulla strada. Gondrano non fu visto mai più. Tre giorni dopo venne annunciato che egli era morto nell'ospedale di Willingdon, a dispetto di tutte le cure che si possono prestare a un cavallo. Fu Clarinetto che venne a partecipare agli altri la notizia. Egli, disse, era stato presente alle ultime ore di Gondrano. 

«Fu la cosa più commovente che abbia mai visto!» disse Clarinetto, sollevando la zampa e asciugandosi una lacrima. «Fino all'ultimo istante sono stato vicino al suo letto; all'ultimo, quasi troppo debole per parlare, egli bisbigliò al mio orecchio che il suo solo dispiacere era di morire prima che il mulino fosse ultimato. "Avanti, compagni!" sussurrò. "Avanti nel nome della Rivoluzione! Viva la Fattoria degli Animali! Viva il compagno Napoleon! Napoleon ha sempre ragione!" Furono le sue ultime parole, compagni.» 

Qui il contegno di Clarinetto mutò ad un tratto. Tacque per qualche istante, e i suoi piccoli occhi lanciarono sguardi sospettosi da un lato all'altro prima di proseguire. 

Aveva saputo, disse, che una voce tanto sciocca quanto malvagia era corsa al momento del trasporto di Gondrano. Alcuni animali avevano notato che il furgone che trasportava Gondrano portava la scritta "Macelleria Equina", e ne avevano subito concluso che Gondrano era stato mandato al macello. Era quasi incredibile, disse Clarinetto, che ci potessero essere animali tanto stolti. Certo, gridò sdegnato, dimenando la coda e saltellando qua e là, certo essi conoscevano il loro beneamato Capo, il compagno Napoleon. Ma la spiegazione era semplicissima: il furgone era stato un tempo di proprietà di un macellaio ed era stato comperato poi dal veterinario che non aveva ancora provveduto a cancellare la vecchia iscrizione. Ecco com'era sorto l'errore. 

Gli animali a questa spiegazione provarono un grande sollievo. E quando Clarinetto proseguì a dare i minuti particolari del letto di morte di Gondrano, delle amorevoli cure che aveva ricevuto e delle costosissime medicine che Napoleon aveva pagato senza badare a spese, i loro ultimi dubbi sparirono e il dolore che provavano per la morte del loro compagno fu mitigato dal pensiero che almeno era morto felice. 

Napoleon stesso partecipò alla riunione della domenica seguente e pronunciò una breve orazione in onore di Gondrano. Non era stato possibile, disse, riportare i resti del loro compianto compagno perché trovassero sepoltura nella fattoria, ma egli aveva ordinato una grande corona composta con le foglie della pianta di alloro del suo giardino, da deporre sulla tomba dello scomparso. Pochi giorni dopo era intenzione dei maiali tenere un grande banchetto funebre in onore del defunto. Napoleon terminò il suo discorso ricordando le due massime favorite da Gondrano: "Lavorerò di più" e: "Il compagno Napoleon ha sempre ragione!", massime, egli disse, che ogni animale avrebbe dovuto adottare come proprie. 

Nel giorno stabilito per il banchetto un furgone da droghiere venne da Willingdon alla fattoria a consegnare una grande cassa. Quella notte si udirono fragorosi canti, seguiti da un frastuono come di violento litigio che termino verso le undici con un tremendo frantumar di vetri. Nessuno si mosse nella casa colonica prima del mezzogiorno dell'indomani, e corse voce che, non si sa come, i porci avevano guadagnato danaro bastante all'acquisto di un'altra cassa di whisky. 

 

Capitolo X 

 

Gli anni passarono. Le stagioni si susseguivano, fuggiva la breve vita degli animali. Venne il tempo in cui più nessuno ricordava gli antichi giorni prima della Rivoluzione, eccetto Berta, Benjamin, Mosè il corvo e alcuni maiali. 

Muriel era morta, Lilla, Jessie e Morsetto erano morti. Anche Jones era morto, morto in una casa di alcolizzati in un'altra parte della contea. Berta era ora una vecchia e grossa cavalla dalle giunture indurite e con tendenza a un'infiammazione agli occhi. Da due anni aveva passato i limiti d'età, ma in realtà nessun animale era stato messo a riposo. La questione di riservare un angolo del gran pascolo agli inabili al lavoro da lungo tempo era stata lasciata cadere. Napoleon era ora un vecchio verro di un quintale e mezzo. Clarinetto era tanto grasso che a stento i suoi occhi trovavano uno spiraglio per vedere. Solo il vecchio Benjamin era sempre lo stesso, un poco più grigio forse attorno al muso e, dalla morte di Gondrano, sempre più triste e taciturno. 

Nuovi esseri popolavano ora la fattoria, benché l'aumento non fosse quale i primi tempi lasciavano prevedere. Erano nati molti animali per i quali la Rivoluzione non era che una vaga tradizione passata di bocca in bocca, ed erano stati comprati altri animali che prima del loro arrivo non avevano mai sentito parlare della cosa. La fattoria possedeva ora tre cavalli oltre Berta. Erano begli animali prestanti, volenterosi al lavoro e buoni compagni, ma molto stupidi. Nessuno di essi riuscì a leggere l'alfabeto oltre la b. Accettavano tutto quanto si diceva loro sulla Rivoluzione e i principi dell'Animalismo, specialmente da Berta per la quale nutrivano un rispetto filiale; ma era dubbio se capivano qualcosa di quello che essa diceva. La fattoria era ora più prospera e meglio organizzata. Era stata anche ampliata con due campi comperati dal signor Pilkington. Il mulino era stato finalmente terminato con successo, la fattoria possedeva in proprio trebbiatrice e montacarichi, e altri fabbricati erano stati aggiunti. Whymper si era comperato una carrozzella. Il mulino non era però stato usato per produrre elettricità, ma per macinare il grano, e rendeva belle somme di danaro. Gli animali lavoravano accanitamente alla fabbricazione di un altro mulino ove, una volta finito, si diceva, si sarebbe impiantata la dinamo. 

Ma dei lussi che Palla di Neve aveva fatto sognare agli animali, delle stalle con la luce elettrica e l'acqua calda e fredda e dei tre giorni lavorativi per settimana, di tutto questo non si parlava più. Napoleon ne aveva condannata l'idea come contraria ai principi dell'Animalismo. La vera felicità, diceva, sta nel lavorare molto e nel vivere frugalmente. Sembrava insomma che la fattoria fosse diventata in realtà più ricca, senza per questo far più ricchi gli animali, salvo naturalmente i maiali e

i cani. Forse questo era dovuto in parte al fatto che maiali e cani erano tanto numerosi. Non che questi esseri non lavorassero a modo loro. Clarinetto non si stancava mai di spiegare quanto enorme fosse il lavoro di sorveglianza e di organizzazione della fattoria. Molto di questo lavoro era tale che gli altri animali, per la loro ignoranza, non lo potevano capire. Per esempio, Clarinetto diceva loro che i maiali dovevano ogni giorno faticare attorno a cose misteriose chiamate "schedari", "relazioni", "registri". Erano, questi, grandi fogli di carta che dovevano venire completamente coperti di scrittura e quando erano così compilati venivano poi buttati nella fornace. Ciò era della massima importanza per il buon andamento della fattoria, diceva Clarinetto. Tuttavia né i porci né i cani producevano cibo, col loro lavoro; ed erano molti e il loro appetito era sempre ottimo. 

Quanto agli altri, la loro vita, per quel che sapevano, era quale era sempre stata: avevano fame, dormivano sulla paglia, bevevano alle, stagno, lavoravano nei campi; in inverno soffrivano per il freddo, in estate per le mosche. Talvolta i più vecchi si lambiccavano il cervello per ricordare se nei primi tempi della Rivoluzione, quando ancora era recente l'espulsione di Jones, le cose erano andate meglio o peggio. Ma non riuscivano a ricordare. Non avevano nulla con cui confrontare la loro vita presente; non avevano nulla da consultare, se non le colonne di cifre con cui Clarinetto invariabilmente dimostrava che le cose andavano sempre meglio. Gli animali trovavano il problema insolubile; a ogni modo avevano poco tempo per perdersi in simili pensieri. Solo il vecchio Benjamin diceva di ricordare ogni particolare della sua lunga vita e di sapere che le cose non erano mai state, né mai sarebbero state, né molto meglio né molto peggio: la fame, la fatica, la delusione essendo, così egli diceva, la inalterabile legge della vita. 

Pure gli animali non cessavano di sperare. E inoltre non perdevano mai, sia pure per un istante, il senso dell'onore e del privilegio di esser membri della Fattoria degli Animali. Era ancora l'unica fattoria in tutta la contea - in tutta l'Inghilterra! - posseduta e condotta da animali. Non uno di essi, neppure il più giovane, neppure i nuovi venuti, comprati da fattorie distanti diverse miglia, cessava di meravigliarsi di tale fatto. E quando udivano sparare il fucile e vedevano la bandiera verde sventolare in cima all'asta, il loro cuore si gonfiava di imperituro orgoglio e i discorsi volgevano sempre agli antichi, eroici giorni, alla cacciata di Jones, alla scrittura dei Sette Comandamenti, alle grandi battaglie in cui gli uomini invasori erano stati sconfitti. Nessuno degli antichi sogni era stato abbandonato. La Repubblica degli Animali, preconizzata dal Vecchio Maggiore, in cui i verdi campi d'Inghilterra non sarebbero stati calpestati da piede umano, era sempre la loro fede. Sarebbe venuta un giorno: forse non era imminente, forse nessuno degli animali ora viventi l'avrebbe vista, ma sarebbe venuta. Persino l'aria di Animali d'Inghilterra era qua e là segretamente cantata a bassa voce. Era un fatto che tutti gli animali della fattoria la conoscevano, benché nessuno osasse cantarla pubblicamente. Poteva darsi che la loro vita fosse dura e che non tutte le loro speranze si sarebbero compiute. Ma avevano coscienza di non essere come gli altri animali. Se avevano fame, non era per la tirannia dell'uomo; se lavoravano duramente, lavoravano almeno per se stessi. 

Non vi era fra loro creatura che andasse su due gambe. Nessun essere chiamava un altro essere "padrone". Tutti gli animali erano uguali. 

Un giorno, al principio dell'estate, Clarinetto, ordinò alle pecore di seguirlo e le condusse all'altra estremità della fattoria, in un ampio terreno invaso da betulle. Le pecore passarono tutta la giornata a brucare le foglie sotto la sorveglianza di Clarinetto. Questi se ne tornò la sera alla casa colonica; ma poiché faceva caldo, disse alle pecore di rimanere dov'erano. Finì che esse rimasero là un'intera settimana durante la quale nessuno le vide. Clarinetto si tratteneva con loro quasi tutto il giorno: stava insegnando loro, diceva, una nuova canzone per cui era necessario l'isolamento. 

Dopo il ritorno delle pecore, in una deliziosa serata quando, finito il lavoro, gli animali stavano rientrando alle loro stalle, un terribile nitrito di cavallo risuonò nel cortile. Stupiti, gli animali si arrestarono. 

Era la voce di Berta. Essa nitrì ancora e tutti gli animali irruppero a galoppo nella corte. Videro allora ciò che aveva visto Berta. 

Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori. Sì, era Clarinetto. Un po' goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella posizione il suo considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù per il cortile. Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio degli altri, qualcuno era ancora un po' malfermo e sembrava richiedere il sostegno di un bastone, ma tutti fecero con successo il giro del cortile. Infine, fra un tremendo latrar di cani e l'alto cantar del gallo nero, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all'ingiro, coi cani che gli saltavano attorno. Stringeva fra le zampe una frusta. 

Seguì un silenzio mortale. Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne il momento in cui, passato il primo stordimento, nonostante tutto - nonostante il terrore dei cani, l'abitudine sviluppata durante lunghi anni di non lamentarsi mai, di non criticare mai sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta. Ma in quell'attimo stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un tremendo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio!». 

Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono calmate, la possibilità di protestare era passata perché i maiali erano rientrati nella casa. 

Benjamin sentì un naso strofinarsi contro la sua spalla. Guardò. Era Berta. I suoi vecchi occhi erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò gentilmente per la criniera e lo portò nel grande granaio ove erano scritti i Sette Comandamenti. Per qualche istante ristette fissando la parete scura e le lettere bianche. 

«La mia vista si indebolisce» disse infine. «Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima, Benjamin?» 

Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva: 

TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI 

MA ALCUNI SONO PIU' UGUALI 

DEGLI ALTRI

Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto l'abbonamento al «John Bull», al «Tit-Bits» e al «Daily Mirror». 

Non sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l'abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano. Una settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria. Una deputazione di agricoltori del vicinato era stata invitata a fare un giro d'ispezione. Fu mostrata loro tutta la fattoria, ed essi espressero grande ammirazione per ciò che vedevano, specialmente per il mulino. Gli animali stavano sarchiando il campo di rape. Lavoravano con attenzione, quasi senza osar sollevare la testa da terra, non sapendo se avevano più paura dei maiali o dei visitatori umani. 

Quella sera alte risa e canti uscirono dalla casa colonica, e ad un tratto, all'udir tutte quelle voci, gli animali si sentirono presi da curiosità. Che cosa stava succedendo la dentro, ora che per la prima volta gli animali e gli uomini si incontravano su un piede di eguaglianza? In un solo accordo, essi cominciarono a strisciare silenziosamente nel giardino della casa colonica. Al cancello si fermarono dubbiosi se entrare o no. Ma Berta aprì la strada. In punta di piedi si portarono fin presso la casa e quelli che erano abbastanza alti spiarono attraverso la finestra della sala da pranzo. Là, attorno alla lunga tavola, sedevano una mezza dozzina di agricoltori e una mezza dozzina o più di eminenti maiali. Napoleon occupava il posto d'onore a capo della tavola. I maiali sembravano completamente a loro agio sulle seggiole. La compagnia stava giocando una partita a carte, momentaneamente sospesa, evidentemente per un brindisi. Circolava una grande anfora e i bicchieri venivano riempiti di birra. Nessuno si accorse delle facce attonite degli animali che spiavano dalla finestra. 

Il signor Pilkington di Foxwood si era alzato reggendo il bicchiere. Fra un istante, egli disse, avrebbe chiesto alla compagnia di fare un brindisi, ma prima sentiva il dovere di pronunciare alcune parole. Era per lui motivo di grande soddisfazione, disse - e, ne era sicuro, per tutti gli altri presenti - di sentire che il lungo periodo di diffidenza e di incomprensione era finito. C'era stato un tempo non che lui o alcuno dei presenti avesse condiviso tali sentimenti - ma c'era stato un tempo in cui i rispettabili proprietari della Fattoria degli Animali erano stati guardati, non con ostilità, ma forse con qualche sospetto dagli uomini del vicinato. C'erano stati disgraziati incidenti, c'erano state incomprensioni. Si sentiva che l'esistenza di una fattoria tenuta e governata da maiali era qualcosa di anormale e rischiava di avere un malefico effetto sul vicinato. Troppi agricoltori erano convinti, senza prova alcuna, che in quella fattoria dominava lo spirito di licenza e di indisciplina. Erano inquieti per l'effetto che la cosa poteva avere sui loro animali e anche sui propri impiegati umani. 

Ma ogni dubbio era ora dissipato. Quel giorno assieme ai suoi amici aveva visitato la Fattoria degli Animali, ne aveva ispezionato ogni palmo coi propri occhi, e che cosa aveva trovato? Non solo i metodi più moderni, ma una disciplina e un ordine da porre come esempio agli agricoltori di ogni dove. Credeva di poter dire a ragione che gli animali inferiori della Fattoria degli Animali facevano più lavoro e ricevevano meno cibo di tutti gli animali della contea. In realtà assieme ai suoi amici visitatori aveva quel giorno osservato molte cose che intendeva introdurre subito nelle proprie fattorie. 

Chiudeva la sua perorazione, disse, esaltando ancora i sentimenti di amicizia che esistevano e dovevano esistere tra la Fattoria degli Animali e i suoi vicini. Tra i maiali e gli uomini non vi era e non doveva esservi alcun conflitto d'interessi. Le loro lotte e le loro difficoltà erano uniche. Non era il problema del lavoro lo stesso ovunque? Qui parve che il signor Pilkington stesse per lanciare qualche ben preparata arguzia sulla compagnia, ma per il momento era troppo sopraffatto dal piacere per poterla pronunciare. Dopo molti colpi di tosse durante i quali i suoi numerosi menti si fecero di bracia, riuscì a metterla fuori: «Se voi avete i vostri animali inferiori contro cui lottare» disse «noi abbiamo le nostre classi inferiori!». Questo bon mot fece scoppiare dalle risa tutta la tavola; e il signor Pilkington ancora si congratulò coi maiali per le razioni scarse, le lunghe ore di lavoro e la generale assenza di sovrabbondanza che aveva osservato nella Fattoria degli Animali. 

E ora, disse infine, chiedeva alla compagnia di alzare la zampa e assicurarsi che il bicchiere fosse pieno. 

«Signori» concluse il signor Pilkington «signori, brindo a voi e alla prosperità della Fattoria degli Animali!» 

Seguirono entusiastici applausi e battere di piedi. Napoleon era tanto soddisfatto che si alzò dal suo posto e fece il giro della tavola per venire a toccare il suo bicchiere con quello del signor Pilkington prima di vuotarlo. Quando gli applausi si placarono, Napoleon, che era rimasto in piedi, annunciò che aveva qualche parola da dire. 

Come tutti i discorsi di Napoleon, anche questo fu breve ed esplicito. Anche lui, disse, era felice che il periodo dell'incomprensione fosse finito. Per molto tempo erano corse voci - messe in giro, aveva ragione di credere, da qualche nemico maligno - che le direttive sue e dei suoi colleghi rivestissero qualcosa di sovversivo e di rivoluzionario Erano stati accusati di suscitare la ribellione fra gli animali delle vicine fattorie. Niente di più lontano dalla verità! Il loro solo desiderio, ora come nel passato, era di vivere in pace e in buone e normali relazioni con tutti i vicini. Questa fattoria che aveva l'onore di controllare, aggiunse, era una specie di impresa cooperativa. Le azioni che erano in suo possesso erano comune proprietà dei maiali.

Egli non credeva, disse, che alcuno degli antichi sospetti continuasse a sussistere; ma alcuni cambiamenti, recentemente introdotti nelle consuetudini della fattoria, dovevano aver l'effetto di promuovere un'ancor maggiore fiducia. Fino ad allora gli animali della fattoria avevano avuto la sciocca abitudine di chiamarsi l'un l'altro "compagni". Ciò doveva aver termine. C'era anche stato lo strano costume, la cui origine era sconosciuta, di sfilare la domenica mattina davanti al teschio di un verro posto su un ceppo nel giardino. Questo pure sarebbe stato abolito, e già il teschio era stato sepolto. I suoi visitatori avevano certo visto la bandiera verde spiegata in cima all'asta e avevano forse notato che lo zoccolo e il corno dipinti in bianco, di cui prima era fregiata, erano scomparsi. La bandiera, d'ora innanzi, sarebbe stata verde soltanto. Egli aveva solo una critica, disse, da fare all'eccellente e amichevole discorso del signor Pilkington. In esso il signor Pilkington si era sempre riferito alla "Fattoria degli Animali". Non poteva sapere, naturalmente - perché lui, Napoleon, lo annunciava ora per la prima volta - che il nome "Fattoria degli Animali" era stato abolito. Da quel momento la fattoria sarebbe ritornata "Fattoria Padronale", quello cioè che, egli credeva, era il suo vero nome d'origine. 

«Signori» concluse Napoleon «ripeterò il brindisi di prima, ma in forma diversa. Riempite fino all'orlo i vostri bicchieri. Signori, ecco il mio brindisi: alla prosperità della Fattoria Padronale!» 

Come prima, vi furono calorosi applausi e i bicchieri vennero vuotati fino al fondo. Ma mentre gli animali di fuori fissavano la scena, sembrò loro che qualcosa di strano stesse accadendo. Che cosa c'era di mutato nei visi dei porci? Gli occhi stanchi di Berta andavano dall'uno all'altro grugno. Alcuni avevano cinque menti, altri quattro, altri tre. Ma che cos'era che sembrava dissolversi e trasformarsi? Poi, finiti gli applausi, la compagnia riprese le carte e continuò la partita interrotta, e gli animali silenziosamente si ritirarono. 

Ma non avevano percorso venti metri che si fermarono di botto. Un clamore di voci veniva dalla casa colonica. Si precipitarono indietro e di nuovo spiarono dalla finestra. Sì, era scoppiato un violento litigio. Vi erano grida, colpi vibrati sulla tavola, acuti sguardi di sospetto, proteste furiose. Lo scompiglio pareva esser stato provocato dal fatto che Napoleon e il signor Pilkington avevano ciascuno e simultaneamente giocato un asso di spade. 

Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.